martedì 3 dicembre 2019

Dove un'ombra sconsolata mi cerca - Andrea Molesini

A partire dal titolo, preso da un verso di Anna Achmatova, questo romanzo è come una lunga poesia, in cui ogni parola sembra essere stata scelta con cura, per evocare i toni sfumati dei ricordi. Mi ha fatto però pensare anche a Nabokov e al modo in cui arrotolava il suo «tappeto magico, così da sovrapporre l’una all’altra parti diverse del disegno». I ricordi emergono infatti in modo discontinuo, sovrapponendosi e modificandosi. Sono ricordi di guerra, del sottobosco dei cospiratori, di un ragazzo che ha perso troppo presto la madre, di un'infanzia finita bruscamente, di un tradimento. Sullo sfondo c'è Venezia, una Venezia scura e sempre un po' nascosta, ma ci sono anche i tragitti in barca e le letture di Tolstoj. Ci sono due amici, prima che la loro amicizia si spezzi.

domenica 24 novembre 2019

Bret Easton Ellis

"Adesso so che non fui mai più felice come nell'estate del 1991." in quell'estate veniva finalmente pubblicato American Psycho, il terzo libro di Bret Easton Ellis, quello più sconvolgente e complesso, che l'editore Simon & Schuster, circa un anno prima, aveva rifiutato di pubblicare pur avendone già acquistato i diritti. E io, che nell'estate del 1991 non vivevo un periodo particolarmente felice, adesso so che, qualche anno più tardi, quando lo lessi, lo lessi male e in modo superficiale. Restai infatti legata ai terribili crimini commessi di notte da un protagonista perfetto durante il giorno, e non vidi l'allegoria della società degli anni Ottanta, il lato oscuro che serpeggiava sotto un'apparenza di perfezione. Non feci nemmeno molta attenzione a Donald Trump, che invece nel romanzo viene nominato più volte perché è l'idolo del protagonista (ma anche di quei ragazzi che lavoravano nella finanza e che l'avevano ispirato), il padre che avrebbe voluto e non ha avuto. Lo stesso Trump che, più o meno venticinque anni dopo, sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti. "La rabbia, l'indignazione, il panico e l'orrore dell'Apocalisse Tump era in realtà solo la manifestazione di essere obbligati a guardare la bolla sottostante e chiedersi colpevolmente dove si fosse sbagliato."
Bianco non è un romanzo, a prima vista è una raccolta di articoli, di saggi. Io credo però che sia un genere nuovo, una raccolta di pensieri e di considerazioni, un modo diverso di scrivere un'autobiografia. Si apre infatti con quel periodo che l'autore definisce Impero, il periodo della sua infanzia e adolescenza, quel periodo in cui i genitori non erano così concentrati sulle vite dei loro figli e li lasciavano liberi di andare e tornare da scuola da soli. Probabilmente solo in quel contesto Bret Easton Ellis avrebbe potuto scrivere il suo primo romanzo, "Meno di zero", in cui uno dei protagonisti si chiama Julian, come Richard Gere in American Gigolo. Un romanzo che si porta dietro le influenze cinematografiche e dei libri horror letti in quegli anni, per descrivere i giovani della sua generazione come non li aveva mai descritti nessuno. Il cinema ha un ruolo fondamentale nelle opere di Bret Easton Ellis, è sempre presente, come presente è l'influenza di Joan Didion: "come per tutti i grandi scrittori, il significato del suo lavoro sta nello stile". Non sempre infatti Bret Easton Ellis è d'accordo con quello che la Didion dice, ma apprezza che lo dica e il modo in cui lo dice. Ed è l'incapacità di accettare un pensiero diverso, un'opinione diversa, che rimprovera invece all'epoca del post-Impero, quella che è venuta dopo l'11 settembre. Un'epoca spaventata e impaurita, in cui si proclama l'amore per il diverso ma si ostracizza quello che è unico. Un'epoca in cui si tende verso la vittimizzazione dei gay, delle donne, delle minoranze in generale. Un'epoca in cui si deve dire che il sesso è sesso per paura di etichettarlo come "diverso". Eppure "da uomo che non ha un rapporto neutro con la propria sessualità, quando cerco la pornografia su internet non digito 'sesso', digito 'gaytube', 'gay porno', 'gayxxx', gay qualsiasi cosa".
Si potrebbe parlare per ore di questo libro, ci si potrebbe soffermare a discutere qualsiasi paragrafo. Sono passati molti anni dall'estate del 1991, ma Bret Easton Ellis ha ancora uno sguardo lucido sul mondo e sulle dinamiche della società, e ha ancora molto da dire.

sabato 9 novembre 2019

La vita attesa - Gino Pitaro

Mentre leggevo, ho pensato più volte a "Due di due" di De Carlo, perché, come quella di Guido Laremi e del suo amico di cui non si conosce il nome, la storia di Gianni e Federico è la storia di due possibili strade, partite dallo stesso punto. Quel punto da cui tutto comincia è Tropea, con gli scogli da cui ci si tuffa, le estati lunghe. Un'infanzia e un'adolescenza trascorse sempre insieme, fino a quando le strade si dividono, Federico alla scuola di polizia, Gianni all'università a studiare lettere. Si incontrano qualche volta, per scoprire il fastidio di ritrovare, in un altro mondo, qualcuno con cui si è condiviso troppo, che nel modo di fare e di parlare ricorda quello che si è stati e che si vuole lasciare indietro. "Nuovi treni si afffacendavano lungo le stazioni della nostra vita, ne sentivamo lo sferragliare lontano."
Nuovi amici riempiono le loro giornate, sempre più diverse e lontane, e Gianni e Federico si perdono "di voce e di vista". Ma non è solo un romanzo di treni attesi, persi o presi al volo, ad un certo punto la storia si stempera su colori più scuri e, da romanzo di formazione, diventa quasi un nero, in cui si fatica a riconoscere chi sia davvero innocente, perché anche il passato potrebbe essere diverso da quello che è sempre stato.

sabato 26 ottobre 2019

Mio fratello Carlo - Enrico Vanzina

Poco più di un anno fa, quando morì Carlo Vanzina, rividi Via Montenapoleone. L'unica volta che l'avevo visto era stato al cinema, un sabato pomeriggio di molti anni prima. Eppure restai stupita di ricordarlo così bene. Era un film che coglieva l'essenza degli anni Ottanta e il clima che si respirava allora nella mia città. I fratelli Vanzina sono stati così: ci vedevano com'eravamo e ci raccontavano come ci vedevano.
Questo libro mi ha attirato subito. Un po' perché anch'io sono legatissima a mia sorella, un po' perché la scrittura di Enrico Vanzina mi era piaciuta molto in "La sera a Roma". Nonostante una scrittura semplice e essenziale però questo libro è un macigno. Lo si legge velocemente e nello stesso tempo è difficile da digerire. È un libro doppio, come doppie sono le copertine. È il racconto di una vita straordinaria e vissuta fino in fondo, dedicata alla grande passione per il cinema. Nello stesso tempo però è il racconto di un grande dolore, di tutto quello che poteva ancora essere e invece non sarà più.
È un libro insomma che bisogna leggere in quei periodi in cui si ha intorno una spessa corazza di gioia, che non si fa scalfire. Oppure bisogna leggerlo in quei momenti in cui si ha voglia di isolarsi nella malinconia di un autunno appena iniziato.

sabato 19 ottobre 2019

Noi i vivi - Ayn Rand

Pietrogrado puzzava di fenolo.
Una bandiera grigio-rosato, che era stata rossa, pendeva dall'intreccio di raggi d'acciaio. Alte travi salivano verso un soffitto di lastre di vetro grigie come l'acciaio per la polvere e il vento di molti anni; alcuni vetri erano rotti, bucati da fucili dimenticati, punte acuminate protese verso un cielo grigio come l'acciaio. Sotto la bandiera pendeva una frangia di ragnatele; sotto le ragnatele un enorme orologio da stazione con numeri neri su un quadrante giallo e senza lancette. Sotto l'orologio, una folla di facce pallide e soprabiti unti aspettava il treno.
Kira Argounova entrò a Pietrogrado dalla soglia di un carro bestiame. Stava dritta, immobile, con l'indifferenza elegante di un viaggiatore su un lussuoso transatlantico, con un abito azzurro stinto, con gambe magre, abbronzante, senza calze. Un vecchio pezzo di seta intorno al collo, e i capelli corti arruffati, e un berretto di lana con un ponpon giallo. Aveva una smorfia tranquilla e gli occhi spalancati in uno sguardo di sfida, curiosità, attesa solenne e preoccupata come un guerriero che entra in una strana città e si chiede se stia entrando da conquistatore o da prigioniero.




Ho rimandato a lungo il momento in cui iniziare a leggere Ayn Rand, perché non sapevo se mi sarebbe piaciuto il suo modo di scrivere e temevo che le sue storie mi avrebbero annoiato. Poi, due anni fa, in spiaggia, ho deciso di iniziare dal suo primo romanzo, l'unico, a quanto apprendo, che si svolge in Russia.
Ho faticato durante le prime cento pagine, procedendo lentamente e quasi svogliatamente. Sono passati circa vent'anni da quando ho letto "La madre" di Gorki e non mi aspettavo di ritrovarmi immersa in quelle stesse atmosfere, soprattutto non ero pronta per sprofondarci di nuovo. E poco importa se il libro di Gorki si svolge prima della rivoluzione e quello di AR dopo: non sembra essere cambiato molto. Addirittura un personaggio, Andrei, un eroe della rivoluzione, uno che era entrato nel partito quando questo poteva significare la Siberia, potrebbe essere l'erede di Pavel Blassov.
Ma questo, come spiega l'autrice nella prefazione, non è un libro sulla Russia e sulla rivoluzione russa: questo è un libro sulla lotta tra l'individuo e l'oppressione di uno Stato dittatoriale. Nell'introduzione ho letto infatti che Mussolini autorizzò un film tratto dal romanzo, in quanto lo riteneva una critica al comunismo. Pochi mesi dopo invece si trovò costretto a ritirarlo e vietarlo, in quanto la popolazione si era resa conto della similitudine con la propria situazione.
Ho detto che le prime cento pagine sono state faticose, ma devo aggiungere che da un certo punto in poi non avrei più voluto staccarmi dal libro, perché i personaggi e le loro vicende erano così interessanti e coinvolgenti che continuavo a pensare a loro anche quando facevo altro. E la protagonista, Kira, che all'inizio percepivo come antipatica e distaccata, mi ha ispirato compassione e a volte persino rabbia per le sue scelte.
È un'umanità difficile quella che viene descritta, un'umanità disperata, ed ognuno reagisce alla disperazione come può, magari diventando qualcosa di molto diverso da quello che sarebbe potuto essere se la sua vita avesse potuto essere diversa.


giovedì 3 ottobre 2019

Quel giorno - Valentina Farinaccio

Mi è bastato il titolo di questo libro per decidere che lo volevo, che lo dovevo leggere.
E mentre leggevo l'introduzione, in cui l'autrice racconta il suo viaggio lungo il Cammino, mi sono chiesta com'è potuto succedere che non abbia scoperto prima Valentina Farinaccio, con la sua scrittura limpida e leggera, che scorre dentro le storie e i pensieri dei suoi personaggi.  Personaggi che vengono colti in quei giorni, in quei momenti casuali, che sembrano uguali a tutti gli altri e "che non cambiano il mondo, ma che il mondo lo migliorano un poco".
E così si incontra il ragazzo che ha imparato a suonare il pianoforte, la tromba, la chitarra, nel momento in cui sta per entrare in una vera band e davanti a lui c'è John, il cantante, che "lo guarda dall'alto verso il basso, anche se il più basso è lui". E c'è Elsa, sul molo Beverello, insieme a suo marito, che sta per andare a Procida, e immagina il figlio che non hanno avuto, o forse invece è un ragazzo che è sempre stato lì, che è cresciuto lì, su quell'isola selvaggia. Anche un'altra donna pensa a suo figlio, quel figlio reale, che non ha potuto tenere, perché suo padre non voleva un nipote metà musulmano. Un figlio rifiutato due volte, perché i primi genitori adottivi volevano una femmina e lui era un maschio, ma avrebbe imparato "a mangiarsi la vita, come fosse una mela".
E poi ho trovato una storia che amo molto, quella di Annie e di Alvy, che si intreccia con quella di Diane e di Woody. "Perché tutte le grandi storie d'amore hanno un incontro in cui ci si lascia, un incontro che ha tutte le struggenti sembianze dell'ultimo, ma che poi ultimo non è mai. Ci si trova sempre un'altra volta, un giorno per caso, quando ci si è già lasciati da un pezzo e, nel rivedersi, ci si accorge che forse sì, ci si è proprio lasciati davvero." Come Marina e Frank, che si sono lasciati sulla Grande Muraglia. Ma ci sono anche Rita e il ragazzo che a una festa la invitò a ballare, che non si sono lasciati più.

domenica 25 agosto 2019

Patrimonio - Philip Roth

Ogni tanto, dopo un certo periodo di tempo, sento il bisogno di leggere un suo libro e, per fortuna, me ne sono rimasti ancora abbastanza. Non che li centellini solo per continuare ad avere una scorta, in realtà, dopo aver letto un suo libro, ho bisogno di staccare, perché ogni suo libro richiede uno sforzo emotivo.
Quando ho iniziato Patrimonio, ho avvisato mio marito che forse avrei pianto, di non farci caso. Dieci minuti dopo, mi stavo asciugando gli occhi. Ho però anche riso molto. Patrimonio è diverso dagli altri libri di Roth, credo che sia quello più intimo e forse più vero. È il racconto di un rapporto difficile, ma forte e profondo, un rapporto impossibile da spezzare. È innanzitutto la storia di un uomo semplice eppure ostinato, che non ha voglia di morire. Un uomo dal carattere difficile, sempre pronto a criticare e a trovare difetti in chi gli stava attorno, ma anche capace di grande umorismo. Un uomo con l'abitudine di raccontare storie sul passato e sulla famiglia. "Erano storie noiose, storie senza senso per chi non apparteneva alla famiglia, e, si può presumere, ormai tremendamente ripetitive anche per lui." Eppure erano le storie che definivano il suo essere ebreo ed essere americano al tempo stesso. È un romanzo fatto di ricordi, ma anche di dialoghi, di litigi e di profondo affetto, che si intrecciano con il progredire di una malattia che richiede decisioni da prendere subito, anche sapendo che, comunque, la fine sarà la stessa. Si tratta solo di finire un po' meglio, meno peggio, di avere un po' più di tempo. 
Credo che ognuno ci possa trovare riflessi della propria vita e di rapporti forti, che lasciano sempre dentro qualcosa di irrisolto. E poi quel patrimonio, fatto di vecchi oggetti senza valore, ma che significano molto, frasi e volti di cui non ci si ricorda, ma che sono stati rievocati così a lungo da aver lasciato immagini vivide. Quel patrimonio per cui, anche se nella vita ci si è allontanati molto, da qualche parte si resta sempre il bambino della nostra infanzia. 

martedì 20 agosto 2019

Nikolaj Gogol' - Vladimir Nabokov

Mentre davo un'occhiata alle librerie per scegliere i libri da portare in vacanza, mi sono stupita di trovarci questo, perché non ricordo di averlo comprato. Può darsi che l'abbia comprato tanto tempo fa, oppure può darsi che me l'abbiano 
lasciato mia madre o mia sorella, con l'intento di far spazio ad altri libri nelle loro rispettive case.
Comunque mi sia arrivato, sono contenta di averlo trovato perché è un viaggio nella letteratura in compagnia di due grandi scrittori. Un viaggio che fa guardare da angolazioni insolite alle opere di uno e un viaggio che rende inequivocabile il senso della letteratura per l'altro.
Nabokov racconta Gogol' partendo dalla morte e dal racconto "Il naso", per arrivare, attraverso il simbolismo, i passi falsi e i momenti di genio, a "Il cappotto" e alla nascita. È un libro che procede per temi e per sentieri avvitati, dai quali appaiono sia l'uomo che lo scrittore Gogol'. 
"...nei libri di Gogol' le trame vere stanno dietro a quelle ovvie. Quelle vere, io le do. Le sue storie fanno solo il verso alle storie con le trame."
Visto che nel libro Nabokov dedica molto spazio alle traduzioni che sono state fatte nel tempo dal russo all'inglese e visto che, non essendo soddisfatto, ha ritradotto interi brani, ho rimpianto di non avere il testo originale inglese. Ho inoltre rimpianto una volta di più di non conoscere il russo. "Non vedo, tuttavia, nessun'altra strada per arrivare a Gogol' (o a qualsiasi altro autore russo, se per quello). La sua opera, come ogni grande conquista letteraria, è un fenomeno di linguaggio e non di idee."
Su tutto però prevale l'ombra di Nabokov, la sua particolare visione, il suo amore per la letteratura in generale e la sua passione per la letteratura russa in particolare. "Le deduzioni sono mie proprie. Critici russi che cercavano con fatica di trovare un Influsso e di incasellare i miei stessi romanzi mi hanno, una o due volte, collegato a Gogol', ma quando guardavano di nuovo io avevo sciolto i nodi e la scatola era vuota."

giovedì 15 agosto 2019

Estensione del dominio della lotta - Michel Houellebecq

"Il liberalismo economico è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Allo stesso modo, il liberalismo sessuale è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società."

Quando penso che questo romanzo è stato scritto venticinque anni fa, mi chiedo perché mai ho aspettato così tanto a leggerlo e che effetto mi avrebbe fatto se l'avessi letto allora, nel 1994. Non perché non sia attuale, ma proprio perché è così attuale che forse è arrivato in anticipo nel descrivere la solitudine e lo scollamento tra il singolo e la società. Il protagonista è un informatico che si muove malvolentieri tra le feste a casa dei colleghi, le conversazioni stanche alla macchina del caffè, un lavoro di cui sembra aver smarrito il senso. "Non amo questo mondo. Decisamente, non lo amo. La società nella quale vivo mi disgusta; la pubblicità mi stomaca; l'informatica mi fa vomitare." 
Eppure la forza di questo romanzo e la sua vitalità stanno proprio nel sarcasmo del protagonista, nel suo sguardo sprezzante nei confronti della banalità del mondo che lo circonda. Un romanzo in cui c'è già forse tutto il futuro dell'autore, eppure, leggendolo, si scopre che ha sempre molto altro da dire e che forse le sue massime perfide sono sempre state nascoste dentro di noi. 

venerdì 9 agosto 2019

Da soli - Cristina Comencini

Marta sta fumando una sigaretta sul ponte della nave, Piero si avvicina e le chiede se ha una sigaretta anche per lui e se possono fumare insieme. In realtà Marta non è sola, con lei c'è Andrea, entrambi sono sposati ma hanno deciso di stare insieme e di non lasciarsi mai più. Nemmeno Piero è da solo, con lui c'è Laura. Così ha inizio un'amicizia, ma anche la storia di due coppie che, dopo quasi trent'anni, scoppiano insieme.
Ho comprato a scatola chiusa il libro della Comencini perché da anni non leggevo niente di suo e avevo un po' la nostalgia della sua scrittura, del suo modo di esplorare i rapporti. E ho trovato una storia che mi ha ricordato un po' Lacci, di Starnone. La storia di due matrimoni, di due separazioni, di quattro punti di vista, raccontati da quattro diverse voci.
Mi è piaciuta l'idea del bagaglio, che ognuno si porta dietro ('sono doppia per definizione, ho due valigie da portare, non una sola come gli uomini") e che a volte potrebbe non essere quello giusto. E poi mi è piaciuta l'idea delle case, che Marta progetta e riprogetta, come vorrebbe riprogettare di continuo la propria vita, per sfuggire agli schemi, o forse per seguirli. Case troppo piccole e affollate, in cui, come diceva la Ginzburg, manca sempre una stanza. Oppure case troppo grandi, case solitarie, case complicate.
D'altra parte però mi è sembrato qualcosa di già letto, di già visto, qualcosa in cui manca qualcosa.

martedì 6 agosto 2019

La scomparsa di Majorana - Leonardo Sciascia

Sono poche le pagine di questo libro, eppure sono dense e si finisce per rileggerle più volte, per non perdere nemmeno una parola.
Majorana appare e scompare tra queste pagine, personaggio sfuggente, dilaniato tra scienza, fede e filosofia. Un uomo che vuole scappare da se stesso, dalla propria precocità, da quello che deve fare. Un genio, amico e al tempo stesso rivale di Fermi, che forse comprese le falle di un sistema poliziesco e le usò per inscenare la propria dipartita. Una dipartita in acqua, quasi mitologica. Una fuga dal mondo e dal destino.
Sciascia si avventura nella vita di Majorana, nel mistero che lo avvolge, con lo stile unico, con cui sempre attraversa i propri personaggi. 

venerdì 28 giugno 2019

Il rumore del mondo - Benedetta Cibrario

Della Cibrario mi era piaciuto molto Rossovermiglio, sono passati una decina di anni ma mi sembra un secolo, da quella vacanza a Lisbona, in cui l'avevo letto. E sembra passato un secolo adesso, nel leggere questo suo nuovo romanzo, non solo per l'ambientazione (che mi è piaciuta) ma per la struttura. Un romanzone in costume, scritto bene, ma un po' troppo tirato in lungo. Un romanzo con tanti personaggi, tutti molto ben caratterizzati, ma forse anche troppo. Un romanzo che indugia, che si disperde. Un romanzo che forse è stato scritto pensando un po' troppo allo Strega, a quello che certi giudici vogliono leggere, e che mi ha annoiato. Non è un brutto romanzo ma io credo che la Cibrario possa fare di meglio e che abbia fatto di meglio.

venerdì 21 giugno 2019

Vani d'ombra - Simone Innocenti

Avevo comprato questo libro per curiosità, perché Simone Innocenti l'ho conosciuto su internet attraverso LLC. E ho scoperto uno scrittore vero, di quelli che sanno usare la lingua italiana e ci fanno capire quanto sia bella la nostra lingua, anche quando racconta una storia cruda. O forse proprio per quello. 
"Fu per quel motivo che chiesi ai miei genitori un binocolo. Perché con un binocolo o con qualsiasi altro oggetto avrei tenuto la realtà a giusta distanza, avrei messo la vita nel mirino, l'avrei scoperta senza rimanerne compromesso..." E invece è proprio questa voglia di vedere di Michele Maestri a tredici anni, quello che vedrà e sentirà dall'armadio in cui è chiuso, a comprometterlo, a farlo sentire sempre difettato e fuori posto. Perché in fondo Michele Maestri non uscirà mai veramente da quell'armadio, ci girerà intorno, ci entrerà, se lo porterà dentro sempre. "Vani d'ombra" è la storia di una vita che gira intorno a quell'armadio, la storia di un labirinto bianco, come le federe dei cuscini che stanno nell'armadio, come la schiuma del mare e i muri del paese, che nascondono tutto quello che vi accade dentro. È un romanzo che corre veloce, da cui non si riesce a staccarsi, per una scrittura in cui ogni parola è al posto giusto e che mantiene una tensione costante. Una scrittura che, come il filo di Arianna, porta ad una conclusione immaginata, temuta, eppure sorprendente.

lunedì 17 giugno 2019

Che ne dici di baciarci?

Era il 1988 quando il mio amico Bert studiò il piano perfetto per lasciare la DDR. Equipaggiato solo della sua tessera verde di previdenza sociale, il giorno di San Silvestro voleva attraversare la Repubblica Popolare Polacca e l'URSS, per poi raggiungere la Corea del Nord e infine proseguire in qualche modo per la Corea del Sud. Un percorso più improbabile era difficilmente immaginabile, ma lui sosteneva che, proprio perché quell’idea era così fantasiosa, così assurda, nessuno ci avrebbe fatto caso. Sì, le guardie di Vladivostok non avrebbero saputo distinguere il timbro di un medico da un visto per la Corea del Nord. Subito dopo Mosca, però, era lui l'unico straniero in lungo e in largo, e si meravigliò di come tutto stesse andando liscio. Prese il treno che da Vladivostok andava in Cina. Era una locomotiva con una sola carrozza, con un solo passeggero, lui. Quando mostrò la sua tessera di previdenza sociale, scattarono le manette e tornò a Berlino. Nel carcere di Hohenschönhausen. Poco tempo dopo io fui convocato dalla Stasi per un interrogatorio.


"Che ne dici di baciarci?" è il titolo con cui è stato tradotto in italiano il romanzo di Rayk Wieland (letteralmente sarebbe "Propongo di baciarci"). Scritto dieci anni fa, nel 2009, è il ricordo divertente e ironico di un mondo che non esiste più, quello della DDR. Un mondo in cui "In ogni casa c'era un capocasa, che controllava se la vita familiare era in ordine, se si andava regolarmente al lavoro e se magari si ricevevano visite dall'Ovest. In quei settant'anni si controllava persino che vestiti venivano indossati, con che borsa si andava a fare la spesa e che direzione indicava l'antenna della televisione sul tetto ". Si controllava e, se non si scopriva nulla, forse non si era controllato bene. Ogni dettaglio poteva essere un segnale, un simbolo, anche le lettere che il protagonista scriveva a Liane, la sua ragazza del tempo, che viveva a Monaco e che ogni tanto andava a trovarlo. E, siccome i minuti di quelle visite passavano troppo velocemente, l'espediente era aderire al "Gruppo 61", cioè aggiungere un secondo ad ogni minuto. Tra equivoci e salti nel tempo, l'autore ricostruisce la storia di una città spezzata e scopre che proprio lui, che sognava l'Ovest, si trova ora a provare nostalgia per quel mondo scomparso, nel quale ha vissuto la sua giovinezza. "Che la giovinezza impallidisca e non resti che da qualche parte una gualcita raccolta di aneddoti - okay." 

mercoledì 15 maggio 2019

La confusione morale - Lodovico Festa

Mi sono chiesta parecchie volte, mentre leggevo questo libro, cosa mi spinga ogni tanto ad acquistare i gialli italiani di Sellerio, che, per molti motivi, non sono il mio genere.
Oltre al fatto che i libri Sellerio, con le loro copertine blu, mi piacciono e sono comodi da infilare nella borsa, c'è sicuramente, nel caso di "La confusione morale", come nei romanzi di Robecchi, il piacere di ritrovare la mia città, i miei luoghi. In questo caso poi, visto che la vicenda si svolge nel 1984, c'era anche la voglia di un salto nel passato, in un mondo scomparso, in cui internet non era nemmeno una vaga fantasia.
In realtà il salto nel passato non è stato proprio come me l'aspettavo, perché il romanzo mi ha trasportato in una dimensione che non ho mai conosciuto. Nel novembre del 1984 avevo infatti appena iniziato il liceo e una distinzione delle persone sulla base dell'estrazione borghese o operaia era quanto di più lontano si possa immaginare. Al massimo ricordo il giornale radio che, dall'automobile di mio padre, nominava Lama Marini Benvenuto "come un sol uomo". I personaggi del romanzo sono tanti, forse un po' troppi e di poco spessore, così si finisce un po' per confonderli. È divertente però riconoscere, sotto mentite spoglie, il sindaco di allora e altri personaggi che movimentavano le cronache dell'epoca. Qualcuno lo fa ancora oggi. Un po' meno divertente è invece ritrovare i luoghi con i nomi storpiati, così Gattullo diventa Mattullo, il Sant Ambroeus il Sant Federigh, fino a trasformare il Bar Basso in Bar Nano. Questo ha tolto ulteriormente la poesia al salto indietro nel tempo. Fortuna che la Hoepli è rimasta la Hoepli. 
All'inizio il romanzo mi ha quindi un po' annoiato, colpa anche di un protagonista, Mario Cavenaghi, incolore come il suo nome, che sembra animarsi solo entrando in un bel ristorante e gustando un buon piatto. Niente di paragonabile insomma al brillante e malinconico Carlo Monterossi creato da Robecchi. Il libro però è scritto bene e lentamente anche il protagonista si è reso simpatico, facendomi venire voglia di proseguire con la lettura e di arrivare alla fine, per scoprire un mondo che anticipa il nostro e che getta i semi di quell'ansia di distinguere tra buoni e cattivi, tra onesti e disonesti, che fa perdere di vista la realtà delle cose. 

sabato 4 maggio 2019

Una boccata d'aria - George Orwell

George Bowling aveva dei progetti, ma era molto tempo fa, quando viveva a Lower Binfield. Erano sogni semplici, nati in un mondo in cui era sempre estate, aveva una ragazza che si chiamava Elsie e pescare era la sua occupazione preferita. Poi la guerra ha cancellato quel mondo, ha distrutto i suoi sogni, la vita è andata avanti. Così George si ritrova a quarantacinque anni con la dentiera, parecchi chili di troppo, due figli e una moglie che si chiama Hilda, una che "riesce sempre a dire qualcosa di deprimente nel momento in cui metti piede in casa". George abita in Ellesmere Road, una strada di periferia come tante, con case identiche una all'altra. "Tanto per cominciare, i nove decimi degli abitanti di Ellesmere Road sono convinti di possedere le loro case. Ellesmere Road, e tutto il quartiere che la circonda, fino a High Street, è parte di un grande racket chiamato Hesperides Estate, di proprietà della Cheerful Credit Building Society". Nel giorno in cui riceve la sua nuova dentiera e il rombo di un aereo echeggia nel cielo, George sente il bisogno di una boccata d'aria, di liberarsi di tutto quello che è diventata la sua vita e di tornare indietro, al mondo in cui è stato ragazzo, a Lower Binfield, e di pescare finalmente quel grosso pesce che ha visto un giorno nella cava.
Da molto tempo non leggevo Orwell, questo libro mi è capitato in mano per caso, mentre giravo in una libreria di Londra. È stato un po' come ritrovare un amico e stupirmi di continuo per l'ironia acuta che percorre le pagine, per lo sguardo lucido e disincantato con cui guarda una società sulla quale sta per incombere un'altra guerra. È un libro amaro ("Gli uomini grassi di quarantacinque anni non possono andare a pescare"), pieno di nostalgia e di rimpianti, pervaso dalla consapevolezza che tutto sta per succedere di nuovo. Eppure rimane lieve e leggero, non tocca mai la tragedia. "Perché ero corso via così? Perché mi ero preoccupato del futuro e del passato, per poi scoprire che il futuro e il passato non contano?"
E alla fine resta solo una domanda: ma che grande scrittore è stato Orwell?

sabato 6 aprile 2019

Anonimo veneziano - Giuseppe Berto


È un romanzo arrivato in ritardo, dopo il film, dopo la sceneggiatura, quando l'autore si decise a scrivere quelle descrizioni che collegano i dialoghi.
È un romanzo di morte, una morte strisciante, che avanza piano piano, che trascina con sé il protagonista e la sua città, "un genio che non ha avuto molta fortuna" e una Venezia decadente, che "torna a essere fango". Venezia è il palcoscenico, bellissimo e struggente al tempo stesso, sul quale si consuma il dramma di un uomo, che è "l'uomo sbagliato" e che ha voluto rivedere, per un giorno soltanto, la moglie abbandonata otto anni prima.
È stato un grande amore, il loro, uno di quegli amori forti ed esclusivi, che dovevano per forza portare ad una separazione, per sopravvivere. Eppure è un amore che non è mai finito, nonostante un nuovo compagno e un'altra figlia. Nel corso di una giornata, durante il loro girovagare per le strade di Venezia, l'uomo e la donna ripercorrono la loro storia, i loro errori, quello che poteva essere e non è stato.
È un romanzo breve, ma è un grande romanzo perché la scrittura di Berto, delicata e penetrante, con il suo alternare presente e passato, riesce a delineare i chiaroscuri di una una storia in cui Venezia resta la protagonista.

sabato 2 marzo 2019

Radical chic

Le mode, si sa, passano in fretta. Qualche mese fa c'è stato Berta Isla, l'abbiamo letto quasi tutti, grazie anche alla condivisa di LLC, e ne abbiamo parlato molto anche al di fuori dell'evento, stupendoci del mistero per cui qualcuno lo trova appassionante e qualcun altro noiosissimo. Poi è arrivato Serotonina di Houellebecq, il libro "che ci voleva", quello che dice brutalmente tutte le cose che non abbiamo nemmeno il coraggio di pensare. Un libro che continua a tornarmi in mente, per le affinità con la vita reale, anche adesso, che mi sono rifugiata in un saggio di Piperno su Proust.
Ma nel frattempo Serotonina è già stato sostituito da "Il censimento dei radical chic" di Giacomo Papi. Adesso è questo il libro di cui tutti parlano e che tutti citano. 
La prima volta che ne ho sentito parlare è stato qualche settimana fa su Vanity Fair, in cui era pubblicata un'intervista all'autore, e mi ero un po' infastidita per lo stravolgimento del significato di radical chic, come se i radical chic - poverini - fossero una minoranza di persone di rara cultura e intelligenza, bullizzati proprio per questo da una massa di ignorantoni. Quei radical chic che spesso sbagliano gli apostrofi (e naturalmente deplorano la cafonaggine di chi lo fa notare) ma che si sentono parte di una colta élite, che può guardare dall'alto chi la pensa diversamente. Quelli che da un lato si infastidiscono per la definizione, ma che poi si esaltano perché si sentono davvero chic (è capitato anche sulla mia pagina qualche anno fa). 
Ma non era questo che scriveva Tom Wolfe, il quale, in quanto a cultura, non era certo da meno di Bernstein e di sua moglie. Non è questo quello che sta scritto in quel saggio divertente e nello stesso tempo amaro, che viene da un autore caustico e ironico, capace di osservare il mondo come un giornalista e di scrivere come uno scrittore. Un autore che ha rivoluzionato il linguaggio non solo perché ha inventato i radical chic, ma perché ha saputo guardare il mondo cercando di andare oltre gli specchi deformanti dei luoghi comuni. Sarebbe bello allora che "Il censimento dei radical chic" facesse venire voglia di scoprire da dove viene questa definizione e di rileggere un libro che resta attuale. E forse si scoprirebbe che, oltre ai radical chic e ai cafoni, c'è anche chi è chic davvero. 

martedì 19 febbraio 2019

Serotonina - Michel Houellebecq

Nonostante sia uscito da meno di due mesi, su questo libro si è già scritto e detto molto. Si è detto che è un libro sull'amore, sulla depressione, sul decadimento. Per me va oltre, io credo che sia un libro sul rimpianto, sulle occasioni perdute, su quel momento in cui si scopre che il meglio della vita se n'è andato ("Io ho conosciuto la felicità, so cos'è, posso parlarne con competenza, e conosco la sua fine, che segue abitualmente"), o che forse non arriverà mai perché l'abbiamo perso ("... mi rendevo conto che la vita era finita, che ci era passata accanto, senza farci grandi cenni, che poi aveva ripreso le sue carte con discrezione ed eleganza, con dolcezza, che si era semplicemente voltata da un'altra parte...").
È un romanzo sui rapporti umani, sulla loro evoluzione, sull'impossibilità di bloccarli in quel momento in cui sono stati perfetti. Incapace di restare bloccata a quel momento è anche l'amicizia di Florent-Claude Labrouste, il protagonista, con Aymeric, l'amico dei vent'anni, così diverso e sempre schierato su un fronte opposto, ma nello stesso tempo terribilmente vicino e simile.
Ho trovato in questo romanzo un protagonista un po' meno "straniero" rispetto a quello di Sottomissione, un protagonista più disperato eppure più rassegnato alla propria incapacità di lasciare un segno nel proprio tempo o nelle persone incontrate. E ho trovato una scrittura perfetta nella descrizione degli stati d'animo del protagonista, dei suoi pensieri. Una scrittura graffiante e affilata, capace di dire quello che non si vorrebbe dire e che non si vorrebbe ascoltare.

domenica 17 febbraio 2019

È stato così - Natalia Ginzburg

Gli ho detto: - Dimmi la verità  - e ha detto: - Quale verità  - e disegnava in fretta qualcosa nel suo taccuino e m'ha mostrato cos'era, era un treno lungo lungo con una grossa nuvola di fumo nero e lui che si sporgeva dal finestrino e salutava col fazzoletto.
Gli ho sparato negli occhi. 
M'aveva detto di preparargli termos per il viaggio. Sono andata in cucina e ho fatto il tè, ci ho messo il latte e lo zucchero e l'ho versato nel termos, ho avvitato per bene il bicchierino e poi sono tornata nello studio. Allora m'ha mostrato il disegno e ho preso la rivoltella nel cassetto del suo scrittoio e gli ho sparato. Gli ho sparato negli occhi.
Ma già da tanto tempo pensavo che una volta o l'altra gli facevo così.


La prima volta che lessi queste parole ero alla fine delle elementari o all'inizio delle medie e restai folgorata. Ricordo che le lessi a mia nonna e che lei sobbalzò come se davvero avessimo sentito uno sparo.
Non era il primo libro della Ginzburg che leggevo, anzi, a quei tempi divoravo i suoi libri, passando velocemente da una pagina all'altra, senza riuscire a staccarmi dalla sua scrittura apparentemente semplice, capace di descrivere personaggi anche loro all'apparenza semplici e rassegnati. Per me l'amore per la letteratura è nato più o meno da qui.