lunedì 17 giugno 2019

Che ne dici di baciarci?

Era il 1988 quando il mio amico Bert studiò il piano perfetto per lasciare la DDR. Equipaggiato solo della sua tessera verde di previdenza sociale, il giorno di San Silvestro voleva attraversare la Repubblica Popolare Polacca e l'URSS, per poi raggiungere la Corea del Nord e infine proseguire in qualche modo per la Corea del Sud. Un percorso più improbabile era difficilmente immaginabile, ma lui sosteneva che, proprio perché quell’idea era così fantasiosa, così assurda, nessuno ci avrebbe fatto caso. Sì, le guardie di Vladivostok non avrebbero saputo distinguere il timbro di un medico da un visto per la Corea del Nord. Subito dopo Mosca, però, era lui l'unico straniero in lungo e in largo, e si meravigliò di come tutto stesse andando liscio. Prese il treno che da Vladivostok andava in Cina. Era una locomotiva con una sola carrozza, con un solo passeggero, lui. Quando mostrò la sua tessera di previdenza sociale, scattarono le manette e tornò a Berlino. Nel carcere di Hohenschönhausen. Poco tempo dopo io fui convocato dalla Stasi per un interrogatorio.


"Che ne dici di baciarci?" è il titolo con cui è stato tradotto in italiano il romanzo di Rayk Wieland (letteralmente sarebbe "Propongo di baciarci"). Scritto dieci anni fa, nel 2009, è il ricordo divertente e ironico di un mondo che non esiste più, quello della DDR. Un mondo in cui "In ogni casa c'era un capocasa, che controllava se la vita familiare era in ordine, se si andava regolarmente al lavoro e se magari si ricevevano visite dall'Ovest. In quei settant'anni si controllava persino che vestiti venivano indossati, con che borsa si andava a fare la spesa e che direzione indicava l'antenna della televisione sul tetto ". Si controllava e, se non si scopriva nulla, forse non si era controllato bene. Ogni dettaglio poteva essere un segnale, un simbolo, anche le lettere che il protagonista scriveva a Liane, la sua ragazza del tempo, che viveva a Monaco e che ogni tanto andava a trovarlo. E, siccome i minuti di quelle visite passavano troppo velocemente, l'espediente era aderire al "Gruppo 61", cioè aggiungere un secondo ad ogni minuto. Tra equivoci e salti nel tempo, l'autore ricostruisce la storia di una città spezzata e scopre che proprio lui, che sognava l'Ovest, si trova ora a provare nostalgia per quel mondo scomparso, nel quale ha vissuto la sua giovinezza. "Che la giovinezza impallidisca e non resti che da qualche parte una gualcita raccolta di aneddoti - okay." 

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