Ogni tanto, dopo un certo periodo di tempo, sento il bisogno di leggere un suo libro e, per fortuna, me ne sono rimasti ancora abbastanza. Non che li centellini solo per continuare ad avere una scorta, in realtà, dopo aver letto un suo libro, ho bisogno di staccare, perché ogni suo libro richiede uno sforzo emotivo.
Quando ho iniziato Patrimonio, ho avvisato mio marito che forse avrei pianto, di non farci caso. Dieci minuti dopo, mi stavo asciugando gli occhi. Ho però anche riso molto. Patrimonio è diverso dagli altri libri di Roth, credo che sia quello più intimo e forse più vero. È il racconto di un rapporto difficile, ma forte e profondo, un rapporto impossibile da spezzare. È innanzitutto la storia di un uomo semplice eppure ostinato, che non ha voglia di morire. Un uomo dal carattere difficile, sempre pronto a criticare e a trovare difetti in chi gli stava attorno, ma anche capace di grande umorismo. Un uomo con l'abitudine di raccontare storie sul passato e sulla famiglia. "Erano storie noiose, storie senza senso per chi non apparteneva alla famiglia, e, si può presumere, ormai tremendamente ripetitive anche per lui." Eppure erano le storie che definivano il suo essere ebreo ed essere americano al tempo stesso. È un romanzo fatto di ricordi, ma anche di dialoghi, di litigi e di profondo affetto, che si intrecciano con il progredire di una malattia che richiede decisioni da prendere subito, anche sapendo che, comunque, la fine sarà la stessa. Si tratta solo di finire un po' meglio, meno peggio, di avere un po' più di tempo.
Credo che ognuno ci possa trovare riflessi della propria vita e di rapporti forti, che lasciano sempre dentro qualcosa di irrisolto. E poi quel patrimonio, fatto di vecchi oggetti senza valore, ma che significano molto, frasi e volti di cui non ci si ricorda, ma che sono stati rievocati così a lungo da aver lasciato immagini vivide. Quel patrimonio per cui, anche se nella vita ci si è allontanati molto, da qualche parte si resta sempre il bambino della nostra infanzia.
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