Mi è bastato il titolo di questo libro per decidere che lo volevo, che lo dovevo leggere.
E mentre leggevo l'introduzione, in cui l'autrice racconta il suo viaggio lungo il Cammino, mi sono chiesta com'è potuto succedere che non abbia scoperto prima Valentina Farinaccio, con la sua scrittura limpida e leggera, che scorre dentro le storie e i pensieri dei suoi personaggi. Personaggi che vengono colti in quei giorni, in quei momenti casuali, che sembrano uguali a tutti gli altri e "che non cambiano il mondo, ma che il mondo lo migliorano un poco".
E così si incontra il ragazzo che ha imparato a suonare il pianoforte, la tromba, la chitarra, nel momento in cui sta per entrare in una vera band e davanti a lui c'è John, il cantante, che "lo guarda dall'alto verso il basso, anche se il più basso è lui". E c'è Elsa, sul molo Beverello, insieme a suo marito, che sta per andare a Procida, e immagina il figlio che non hanno avuto, o forse invece è un ragazzo che è sempre stato lì, che è cresciuto lì, su quell'isola selvaggia. Anche un'altra donna pensa a suo figlio, quel figlio reale, che non ha potuto tenere, perché suo padre non voleva un nipote metà musulmano. Un figlio rifiutato due volte, perché i primi genitori adottivi volevano una femmina e lui era un maschio, ma avrebbe imparato "a mangiarsi la vita, come fosse una mela".
E poi ho trovato una storia che amo molto, quella di Annie e di Alvy, che si intreccia con quella di Diane e di Woody. "Perché tutte le grandi storie d'amore hanno un incontro in cui ci si lascia, un incontro che ha tutte le struggenti sembianze dell'ultimo, ma che poi ultimo non è mai. Ci si trova sempre un'altra volta, un giorno per caso, quando ci si è già lasciati da un pezzo e, nel rivedersi, ci si accorge che forse sì, ci si è proprio lasciati davvero." Come Marina e Frank, che si sono lasciati sulla Grande Muraglia. Ma ci sono anche Rita e il ragazzo che a una festa la invitò a ballare, che non si sono lasciati più.
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