Nonostante sia uscito da meno di due mesi, su questo libro si è già scritto e detto molto. Si è detto che è un libro sull'amore, sulla depressione, sul decadimento. Per me va oltre, io credo che sia un libro sul rimpianto, sulle occasioni perdute, su quel momento in cui si scopre che il meglio della vita se n'è andato ("Io ho conosciuto la felicità, so cos'è, posso parlarne con competenza, e conosco la sua fine, che segue abitualmente"), o che forse non arriverà mai perché l'abbiamo perso ("... mi rendevo conto che la vita era finita, che ci era passata accanto, senza farci grandi cenni, che poi aveva ripreso le sue carte con discrezione ed eleganza, con dolcezza, che si era semplicemente voltata da un'altra parte...").
È un romanzo sui rapporti umani, sulla loro evoluzione, sull'impossibilità di bloccarli in quel momento in cui sono stati perfetti. Incapace di restare bloccata a quel momento è anche l'amicizia di Florent-Claude Labrouste, il protagonista, con Aymeric, l'amico dei vent'anni, così diverso e sempre schierato su un fronte opposto, ma nello stesso tempo terribilmente vicino e simile.
Ho trovato in questo romanzo un protagonista un po' meno "straniero" rispetto a quello di Sottomissione, un protagonista più disperato eppure più rassegnato alla propria incapacità di lasciare un segno nel proprio tempo o nelle persone incontrate. E ho trovato una scrittura perfetta nella descrizione degli stati d'animo del protagonista, dei suoi pensieri. Una scrittura graffiante e affilata, capace di dire quello che non si vorrebbe dire e che non si vorrebbe ascoltare.
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