Se sono pazzo, per me va bene, pensò Moses Herzog.
Per due anni di seguito me lo sono portato in vacanza, ma è rimasto sul tavolo dell'albergo mentre leggevo altro. Non che non avessi voglia di leggerlo, ma sapevo che dovevo aspettare quel momento particolare in cui potevo dedicargli più del tempo necessario alla lettura. Poi, all'ultimo, mentre stavo partendo per un ultimo weekend d'estate, l'ho infilato nella borsa, perché finalmente quel momento era arrivato.
Faccio fatica a definirlo un romanzo, perché in realtà è un libro sulla vita, sulla natura umana, un libro in cui non succede nulla ma in realtà succede tutto, perché in circa 350 pagine si srotola tutta la vita di Herzog. È un libro di pensieri, di elucubrazioni che svelano una vita intensa e vissuta profondamente: "Se te ne fregassi, non importerebbe. Potresti sposare altre cinque mogli. Ma con l'intensità con cui fai qualsiasi cosa... e il tuo talento per la scelta fatale".
Nel momento in cui non esclude la possibilità di essere pazzo, Herzog vede per la prima volta con lucidità la sua intera esistenza. È un uomo di cultura che, seppure in modo diverso dai suoi fratelli, è riuscito "nella sua battaglia ebraica di piantare solide radici nell'America WASP". Eppure, nonostante tutto, resta un outsider nel paese in cui vive, ma anche nella famiglia dalla quale proviene e nelle due famiglie che ha costruito, con due donne molto diverse.
C'è moltissimo in questo libro che forse, come suggerisce Piperno, si presta più ad una lettura che prescinde dall'ordine delle pagine. Sempre come dice Piperno: «E tutto sommato non è necessario che Saul Bellow venga letto da milioni di persone. Basta che sia letto da chi ha voglia di farlo. Basta che sia letto da me.» Da adesso verrà letto anche da me.
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