«... La Russia ha appena perso l'uomo di maggior rilievo della sua letteratura, il più celebre poeta che abbia avuto, il signor Alexandre Pouschkin. È morto all'età di 37 anni, all'apice della carriera, in seguito a una grave ferita ricevuta in duello. I particolari di questa sciagura, che il defunto ha malauguratamente provocato egli stesso con una cecità e una sorta di odio frenetico degni della sua origine moresca, costituiscono da qualche giorno l'unico argomento di conversazione della capitale. Si è battuto con suo cognato, il signor Georges de Heeckeren, francese di nascita, figlio adottivo del ministro d'Olanda barone Heeckeren, questi, che precedentemente si chiamava d'Antés, era ufficiale degli "chevaliers gardes" e aveva da poco sposato la sorella della signora Pouschkin... »
Maximilian von Lerchenfeld-Köfering, ambasciatore del regno di Baviera, 29 gennaio 1937.
Un post di ieri sulla giornata della lingua russa mi ha fatto ripensare a "Il bottone di Puškin" di Serena Vitale, che ho letto una decina di anni fa. Prima di leggerlo mi era capitato spesso di ripensare a Puškin che entrava in una pasticceria, beveva una spremuta di limone, poi si dirigeva verso il suo destino, nel luogo convenuto per il duello. Sapeva che sarebbe morto, oppure sperava di salvarsi?
La Vitale ricostruisce la vicenda sulla base di lettere, memorie, rapporti della polizia segreta, facendo emergere, oltre alle figure di Puškin e d'Antés, una società fastosa, sfavillante, frivola, ma popolata anche da personaggi intriganti e potenti, da esseri invidiosi e da spie. È la stessa società che pochi anni più tardi sarà accusata da Lermontov di aver assassinato il più grande poeta russo, ma anche Lermontov morí in un duello, aveva appena ventisei anni e fu un duello assurdamente e incredibilmente simile a quello che proprio lui aveva raccontato in "Un eroe del nostro tempo". Puškin fu "il principio del principio", il punto di svolta della letteratura russa, che dopo di lui abbandonò il binario secondario sul quale era incanalata.
Mi piace pensare che qualcosa di Puškin sia arrivato anche alla Némirovsky, che pensò un po' al suo "sangue africano" quando scrisse "Il calore del sangue". Lo stesso sangue che Maximilian von Lerchenfeld-Köfering individuò come la causa della morte "dell'uomo di maggior rilievo della letteratura russa".
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