sabato 16 maggio 2020

1912+1 - Leonardo Sciascia

Questa della «immaturità» degli italiani a fruire di certe libertà, e in definitiva della libertà, è amena e al tempo stesso penosa opinione, se dai vertici che la pronunciano scende a trovar largo consenso alla base.

Il titolo parte da una dedica di D'Annunzio che, per superstizione, volle evitare di scrivere 1913.  In quell'anno, che alla fine fu tutt'altro che sfortunato per D'Annunzio, la contessa Maria Teresa Tiepolo, moglie del capitano Ferruccio Oggioni, uccise con un colpo di pistola l'attendente del marito, Quintilio Polimanti.
La vicenda e il successivo processo appassionano l'opinione pubblica e rimandano a "L'amante di Lady Chatterley" di Lawrence per il rapporto ambiguo (ma neanche tanto) tra la contessa e l'attendente. L'esito del processo è forse scontato fin dall'inizio, per la diversa condizione sociale dell'imputata e della vittima, ma emerge anche che "nonostante l'indulgenza del codice verso il delitto d'onore e la severità verso la violenza carnale, quando un avvocato si trovasse a difendere una donna che per onore aveva ucciso o a sostenere le ragioni di una violentata contro il violentatore, remore o incertezze facevano peso." Persino nell'arringa appassionata e incondizionata dell'avvocato della difesa traspare infatti l'opinione ricorrente "che la donna fosse colpevole della violenza di cui era diventata oggetto."
Ad appassionare l'opinione pubblica era poi anche la questione della bellezza dell'imputata, questione che spinse molte altre donne a mandare lettere a tutti coloro che erano coinvolti nel processo: "l'assolveranno perché è bella, l'assolverete perché è bella. Il desiderio, l'aspirazione a veder realizzata la giustizia, consiste dunque nel contrario: deve essere condannata perché è bella." Da un lato la bellezza dell'imputata spingeva infatti gli uomini a giudizi più miti, d'altra parte però "alla loro ombrosa e pervicace nozione dell'onore familiare, al loro eleggersene custodi, e insomma alla loro gelosia, in una sentenza di condanna avrebbero trovato conforto per sé e ammonizione per le loro mogli, figlie, cognate e cugine."
Il racconto del processo Tiepolo si rivela quindi anche il racconto di un paese che in fondo è rimasto sempre lo stesso.

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