Nel vortice iconoclasta di questi giorni, si è scoperto che a Milano non ci sono statue di donne. Pare che per qualcuno il s euesso delle statue sia molto importante e da qui è nata la proposta di una statua a Fernanda Pivano. Così, nello stupore, è emerso che in molti non sanno nemmeno chi fosse.
La notizia della sua morte mi raggiunse in un giorno d'agosto di undici anni fa su una spiaggia delle Baleari e mi lasciò un vuoto che il mare e la bella giornata di vacanza non riuscirono a colmare. Undici anni non sono tanti, eppure così poco è bastato perché ci si dimenticasse di lei, perché i giovani nemmeno sappiano chi fosse.
Fernanda Pivano aveva grandi occhi profondi e un sorriso contagioso, pieno di energia e amore per la vita, nonostante la vita non fosse stata sempre gentile con lei (e con chi lo è?).
Fu compagna di scuola di Primo Levi e Cesare Pavese uno dei suoi professori (supplente, in realtà). Anni dopo, quando lui morì, fu lei a scrivere alcune tra le parole più belle: «Quella sera aveva inghiottito la sua polvere assassina; nessuno di noi gliela aveva tolta dalle mani. Ci ha perdonato, ci ha chiesto perdono. Di che cosa, Pavese? Che cosa le avevo fatto, che cosa mi aveva fatto, che cosa ci aveva fatto dopo aver aiutato decine di scrittori a farsi conoscere, con quel suo viso tragico che aveva dimenticato il sorriso, quella sua vita segreta che non aveva svelato a nessuno, quella sua infinita conoscenza del mondo che non le è bastata per sopportarlo.»
Quando la Pivano chiese a Pavese la differenza tra la letteratura americana e quella inglese, lui le portò l'"Antologia di Spoon River" e lì scattò la scintilla.
Lei per prima intuì che la letteratura contemporanea, nel ventesimo secolo, sarebbe stata la letteratura americana, che l'America sarebbe stata il principale laboratorio di idee e di stili e che avrebbe influenzato tutto il resto del mondo.
È grazie a lei, al suo amore per la letteratura, alla sua gioia nel ritrovarvisi immersa, se in Italia sono arrivati e sono stati tradotti i libri di Hemingway, quelli della Beat Generation e alla fine anche quelli dei Brat Pack. Ma le dobbiamo anche i Diari, i suoi testi critici, delle bellissime poesie.
Io una statua della Pivano la vorrei perché sarebbe un monumento alla letteratura, alla commistione delle culture, alla sua voglia di amore. («Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perche’ ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue», fu il suo commento dopo l'11 settembre 2001).
Vorre questa statua perché i giovani tornassero a conoscerla, visto che è stata davvero giovane per tutta la vita, anche quando era ormai vecchia, e credo che avrebbe davvero molto da dire anche a loro. Non vorrei però una statua solo perché serve la statua di una donna, una qualunque, anche sconosciuta. Perché una statua così non la vorrebbe nessuno e Fernanda Pivano non se la merita proprio.
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