giovedì 4 novembre 2021

Tre libri


Ho letto questi tre libri a poca distanza d poco tempo uno dall'altro e mi sono sembrati in qualche modo legati tra loro.

Il libro della Meloni non è un libro politico, la politica ci entra solo di lato e per i riflessi personali. Si tratta di un'autobiografia, che ho letto più velocemente e divertendomi di più nella prima parte, quella dell'adolescenza e dell'infanzia, in cui sono in primo piano i rapporti con la sorella, i genitori e i nonni. Mi sono invece annoiata un po' nell'ultima parte, il racconto di una madre che lavora, tra impegni e sensi di colpa, che sicuramente sono sinceri ma che abbiamo ascoltato ormai troppe volte.

Quello che non annoia è il libro di Renzi, che si legge con la voglia di scoprire come finirà, nonostante lo si sappia benissimo. "Ma è un giallo?" mi ha chiesto un amico a cui ne parlavo mentre lo leggevo. No, non è un giallo, è il racconto di avvenimenti che tutti abbiamo vissuto, anche se da angolazioni diverse, e ogni tanto viene voglia di far presente all'autore che il governo Conte 2, di cui si lamenta, è stato opera sua. L'ultimo capitolo di questo libro però è bellissimo e terribilmente vero, è un discorso sulla cultura, sul modo in cui l'abbiamo messa da parte, sul bisogno che ne abbiamo. Condivido ogni parola di questo capitolo e credo che da solo possa valere tutto il libro.

È questo discorso sulla cultura che fa pensare a Cavour e che lascia aperta la domanda su cosa sia successo dopo, come siano stati possibili i momenti bui e quelli vuoti per i quali siamo passati e per i quali stiamo ancora passando.

Attraverso le lettere, i frammenti dei diari, gli scritti e i discorsi parlamentari, Adriano Viarengo riporta alla luce l'Autoritratto di un uomo moderno, in anticipo sui tempi e sui suoi contemporanei, deciso a incidere il proprio nome nella storia, destinato a essere molto solo, in un paese che non lo amava ma che era consapevole di non poterne fare a meno. Un uomo libero («Sono figlio della libertà, è a lei che devo tutto quello che sono.»), che poteva permettersi di guardare con ironia le manie e le superstizioni del mondo che lo circondava, senza curarsi che fossero le manie e le superstizioni di principi, re o imperatori. Un uomo che nel 1860 scriveva: «Non pretendo la riconoscenza del Re, ma ho diritto ad essere trattato con i riguardi che mi sono dovuti, se non come ministro, certamente come uomo».


Nessun commento: