Questo per me sarà l'anno di Savinio perché, adesso che l'ho scoperto, voglio leggere tutto quello che ha scritto e ho già acquistato tutto quello che sono riuscita a trovare.
"Capitano Ulisse" è una rivisitazione del mito, la storia di un uomo incompreso, preceduto dal breve saggio "La verità sull'ultimo viaggio". Quel viaggio insomma che, non appena iniziato, si sa già che sarà il penultimo.
«Ciò che ha enormemente nociuto al buon nome di Ulisse è la qualifica di Eroe che l'anagrafe della Storia ha stupidamente collocato davanti al suo nome. Eroe e Ulisse, queste due antinomie non combaciano se non nei documenti ufficiali, nei testi interpolati da quaranta secoli di incomprensione.»
E questo è quello che Savinio si propone di fare nel suo testo: una "diseroicizzazione" di Ulisse, che, come indicato da Ugo Piscopo, si poneva in controtendenza rispetto alla retorica fascista.
Il testo, scritto nel 1925 per la compagnia di Pirandello, che lo definì "ironia lirica", e completato dai bozzetti del fratello Giorgio De Chirico, doveva andare in scena al Teatro Filodrammatici di Milano ma non fu rappresentato perché la compagnia venne sciolta per problemi finanziari. Altri tentativi andarono a vuoto e l'Ulisse andò in scena solo nel 1938 al Teatro delle Arti di Roma, dove venne accolto con freddezza dal pubblico e dalla critica, che lo videro come un testo superato.
«La sola ragione che mi vieterebbe di collocare "Capitano Ulisse" tra le opere più notabili rivelate dal Teatro delle Arti, è che l'autore di "Capitano Ulisse" sono io. Ma non è ragione sufficiente. Alcuni giornalisti hanno detto che "Capitano Ulisse" è un lavoro "superato", ma senza specificare, come sarebbe stato loro dovere, da che cosa. Attualmente, l'aggettivo "superato" è comodamente usato dai mediocri a difesa della propria mediocrità. Dello stesso "Capitano Ulisse", un commediografo e giornalista di grande valore, Sante Savarino, ha detto che è una delle opere più significative di tutte le epoche e di tutte le letterature. E non mi si domandi perché io condivido il giudizio di Sante Savarino.»
Nonostante questa difesa, forse proprio le vicende dell'Ulisse, che venne rappresentato per la seconda volta solo nel 1979,allontanarono Savinio dagli scritti teatrali.
La cura con cui descrive le scene, di cui anche i bozzetti del fratello fanno parte, e i dettagli con cui indica i costumi che devono essere indossati («Ancelle di Circe: abiti genere Poiret o Palmer, giacché siamo a Milano!») lasciano intendere quanto l'autore tenesse a quest'opera e quanto la considerasse importante.
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