Qualche volta mi sveglio di notte, mi guardo allo specchio: osservo il mio volto, cerco di vedere quello che vedono gli altri e che li inquieta. Non sono molto bello, è sicuro, ma non sono il solo. Dev'essere qualcos'altro. Lo sguardo? Forse lo sguardo. L'unica cosa che non si vede nello specchio è il proprio sguardo.
Non so per quale motivo per tanto tempo ho evitato di leggere Houellebecq, sicuramente però l'aspetto fisico ha influito, sicuramente se me lo fossi trovato accanto in metropolitana avrei cambiato posto. Eppure è proprio sbirciando il suo vicino sulla metropolitana che Houellebecq scrive la "Commedia metropolitana", uno dei testi più divertenti della raccolta "Interventions 2020", una raccolta di testi (articoli, saggi, interviste, prefazioni di libri di altri autori) scritti tra il 1992 e il 2020:
mi sono sforzato in questi testi di persuadere i miei lettori della validità dei miei punti di vista, raramente sul piano politico, più spesso su diversi «aspetti della società», ogni tanto sul piano letterario.
Sono testi che vanno dalla stroncatura di Prévert («qualcuno le cui poesie si studiano a scuola»), alla pecora Dolly,; viene riportato il brano, già pubblicato in Lanzarote, che inizia con «la letteratura non serve a niente», fino ad arrivare a quell'«un po' peggio» che in primavera ha stranamente reso un po' meno peggio il mio lockdown. Non sempre sono d'accordo con Houellebecq e con il suo punto di vista, non lo sono soprattutto sul caso Vincent Lambert, l'ultimo brano della raccolta, eppure ho letto questo libro con molto gusto e ho apprezzato la scrittura e l'ironia di uno scrittore che non è mai banale. Uno scrittore che riesce a scrivere un articolo bellissimo persino sulla pedofilia («l'adolescenza nelle nostre società contemporanee non è uno stato secondario e passeggero; è al contrario lo stato nel quale, invecchiando a poco a poco nel nostro essere fisico, noi siamo oggi, e praticamente fino alla nostra morte, condannati a vivere»).
Ho scoperto Houellebecq quattro anni fa con Sottomissione e ho trovato particolarmente interessanti le interviste in cui parla di questo libro:
La costruzione di Sottomissione, seppur di grande semplicità, è stata poco percepita. Ho progressivamente tolto tutto al mio personaggio, l'ho spogliato: della sua compagna Myriam, dei suoi genitori, di un lavoro che gli dava malgrado tutto qualche soddisfazione e una certa vita sociale, persino della sua possibile conversione, con il fallimento di quella a Rocamadour, e per finire gli ho tolto Huysmans (ho in effetti osservato che quando si ha l'impressione di aver scritto a fondo su un autore come il mio narratore su Huysmans, si arriva a non leggerlo più). Quando togli tutto a qualcuno, esiste ancora? Con il suo ottimismo bizzarro, Descartes risponderebbe senza esitare di sì. Io però non penso la stessa cosa: essere, è essere in relazione. Non credo all'individuo libero, solo. Riduco quindi il mio personaggio, l'anniento. Allora perché avrebbe una libertà di pensiero? Perché semplicemente non aderire a quello che gli viene proposto?
Forse Houellebecq non è il miglior scrittore di questa epoca, però è quello che ha visto meglio i lati oscuri di un'umanità stanca, apatica, indebolita dal proprio benessere e dalla propria libertà, al punto di arrivare a disprezzare quel benessere e quella libertà, un'umanità senza scampo perché in fuga da se stessa. È uno scrittore scomodo perché coglie e scrive in modo chiaro quello che tutti percepiscono ma nessuno ha voglia di pensare. Eh si, forse è proprio una questione di sguardo.
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