Ho impiegato parecchio tempo prima di decidermi a leggere questo libro perché sapevo che non sarebbe stata una lettura facile (Houellebecq non lo è mai) e avevo bisogno di trovare il momento giusto. È un libro denso, mi sembrava di aver letto già tantissimo, ma poi mi accorgevo di non essere nemmeno a metà, perché spesso tornavo indietro a rileggere una pagina, un passaggio, a cercare di "sentire" meglio quelle parole, per non dimenticarle. E poi perché non è solo un romanzo, ma anche un saggio filosofico, scientifico e letterario. I due protagonisti, Bruno e Michel, che hanno in comune solo il fatto di essere stati abbandonati dalla stessa madre, sono due modi diversi e opposti di reagire a quell'abbandono, di trovare un modo per sopravvivere a una vita dalla quale entrambi si sentono tagliati fuori. Eterno aspirante scrittore uno, ricercatore di biologia molecolare l'altro, ognuno di loro è l'unico punto fermo nella vita del fratellastro, un rapporto che li porterà ad influenzarsi reciprocamente, un po' come successe tra i fratelli Julian e Aldous Huxley, biologo uno, scrittore l'altro. Al centro del romanzo ci sono la difficoltà dei rapporti, il senso di isolamento di un essere umano rispetto ai suoi simili, le occasioni mancate e l'incapacità di afferrare la vita quando era il momento di afferrarla, ma anche l'inquietudine di fine millennio e l'ombra di un futuro agghiacciante per l'umanità.
Houellebecq mescola uno stile freddo e asettico a un linguaggio crudo e volgare, passando rapidamente da uno all'altro mentre passa dal punto di vista di Michel a quello di Bruno. È un libro disturbante e complesso, cinico e spietato, e forse proprio per questo supera i confini del romanzo.
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