"Era il 13 luglio 1986 quando un imbarazzante desiderio di non essere mai venuto al mondo s'impossessò di Leo Pontecorvo."
Il vero motivo per cui ho comprato questo libro è che mi piaceva il titolo. Non avevo mai letto nulla di Piperno, eccettuato qualche articolo su Philip Roth. Qualche anno fa avevo letto un'intervista su Io Donna, probabilmente in occasione dell'uscita di Inseparabili. Non ricordo nemmeno se l'avessi letta tutta, ricordo però la foto di un uomo biondiccio, che mi aveva ispirato una forte antipatia e tolto la voglia di leggere qualsiasi cosa avesse scritto.
Poi ho letto gli articoli su Roth e dopo ho trovato, per caso, questo libro alla Mondadori o alla Feltrinelli. Questo libro che è un unico romanzo, ma che in realtà sono due, fortemente uniti e legati stretti tra loro. Un lungo romanzo, che attraversa venticinque anni e che si ripiega in una serie di flashback, a partire da quel 13 luglio 1986 in cui Leo Pontecorvo viene accusato di un fatto odioso. Leo è un uomo buono, un medico importante, uno che ama il lusso e il consumismo in modo innocente. È il figlio debole e mai cresciuto di una madre invadente, il marito vigliacco e per niente pratico di una moglie superefficiente. Una moglie che saprà reinventarsi una nuova vita anche dopo di lui, anche nonostante lui. E che imporrà ai loro figli la tacita regola di non nominarlo mai. Così di Leo non resta altro che una serie di gesti e di giri di parole tra i suoi figli, entrambi cristallizzati nei loro specifici ruoli.
È un romanzo di ruoli e di immagini. Soprattutto di quelle immagini che restano appiccicate addosso e che impediscono alla realtà di venire a galla. Come l'immagine di un tizio, che fa lo sport sbagliato e che indossa dei vestiti odiosi. O forse come quell'immagine che avevo trovato su Io Donna.
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