Nel 1988 Gesualdo Bufalino vinceva il premio Strega. Era l'estate in cui io non riuscivo a staccarmi da Schiller e pochi mesi dopo avrei incontrato Heine e la Woolf e Max Frisch. Ci sono voluti quindi trent'anni e il suggerimento di un'amica, prima che scoprissi questo libro. Eppure è un po' come se tutte le letture di questi anni mi abbiano portato qui, a questo romanzo breve ma maestoso, che parte dal Decamerone, per raccontare l'ultima notte di un gruppo di condannati a morte, in un penitenziario su un'isola. Un luogo sospeso nel tempo e nello spazio, che forse si trova nel Regno delle Due Sicilie, in epoca borbonica. "Fantasia storica, giallo metafisico, moralità leggendaria".
Un romanzo che parte da Balzac, con una sfida al lettore ("A noi due") o forse un brindisi, raccontato con uno stile antico, che riporta ad "uno stravolto Risorgimento" e, al tempo stesso, richiama l'atmosfera dei Vicerè di De Roberto. Ma è un romanzo che fa pensare anche allo Stiller di Max Frisch, alla frantumazione dell'identità, all'inutile ricerca dell'io, alla dicotomia tra essere e apparire, alla difficoltà di accettarsi.
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