Il 4 aprile 1991 moriva Max Frisch, forse il più grande scrittore di lingua tedesca del secondo dopoguerra. Un autore che, come notò Dürrenmatt, fece di se stesso il "caso da risolvere". La sua vita è infatti strettamente intrecciata alle sue opere, vi si specchia, si interrompe, si ricompone, in un'eterna ricerca (e al tempo stesso rifiuto) della propria identità. I suoi diari sono la parte più importante e più consistente della sua opera, sono intesi come una raccolta di materiale, di annotazioni, di frammenti. I diari sono il suo cantiere, che ripropone nei romanzi più importanti: "Homo Faber", "Stiller", "Il mio nome sia Gantenbein", "Montauk". Il suo è un gioco volto a spiazzare il lettore, a costringerlo ad una lettura attiva, a confondere le carte, a ricomporle in un'altra forma. E ogni tanto, tra le pagine, sembra di scorgere il sorriso a metà dell'autore, con la pipa ad un angolo della bocca, come nella maggior parte delle foto che lo ritraggono, in diverse età, ma sempre con la stessa espressione ironica, perché attraverso la letteratura si può addirittura "diventare di nuovo giovani. Un poco più giovani".
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento