"Di montagne ho difficoltà a sopportare una, figuriamoci otto," Avevo detto nel 2017, quando questo libro aveva vinto il Premio Strega e io ero sicura che non l'avrei mai letto. Avrei preferito che il Premio Strega lo vincesse la Ciabatti e mi era dispiaciuto che non fosse andata così. Eppure "Sofia si veste sempre di nero" mi era piaciuto moltissimo, ma l'idea delle montagne non mi attirava proprio. La Ciabatti invece parlava della Maremma e di luoghi che conosco e frequento.
Poi, pochi anni fa, ho scoperto che anche la montagna può piacermi, se vissuta a modo mio, e ho iniziato ad andare a Champoluc. Durante le mie passeggiate ho scoperto una libreria, ero entrata per comprare dei regali e ho parlato a lungo con una libraia appassionata di letteratura e di quei luoghi in cui una libreria fa fatica a sopravvivere. Mi ha parlato di Cognetti e di questo libro, che si svolge proprio lì, nella valle di Ayas, e anche il film è stato girato lì. Il giorno dopo sono tornata e ho comprato il libro.
Ho ritrovato la scrittura di Cognetti, che mi piace molto, una scrittura leggera, che si adatta a un racconto di sentimenti non detti e a volte dimostrati male, di rapporti che restano irrisolti, come quello tra il protagonista e il padre, ma anche l'amicizia tra due bambini diversi eppure molto simili, che crescono con vite lontane e che però si ritrovano tra le stesse montagne.
È soprattutto un libro di luoghi e proprio nelle prime pagine ci ho trovato un altro luogo che conosco bene: il quartiere degli Olmi.
«Di olmi da quelle parti ce n'erano ben pochi: tutta la toponomastica del quartiere, con le sue vie degli Ontani, degli Abeti, dei Larici, delle Betulle, suonava beffarda tra i casermoni a dodici piani, infestati da mali di ogni tipo.»
Falso. Non che io sappia riconoscere un olmo, ma la toponomastica di quel quartiere non è così beffarda, di alberi e di giardini ce ne sono in realtà parecchi, ma non sempre sono espressione di un paradiso terrestre, spesso possono essere luoghi di degrado. Eppure in quei luoghi, nonostante quei mali di ogni tipo, si può svolgere un'infanzia più allegra di quella di un bambino solitario, che aspetta l'estate per scappare dalla città e che poi andrà a cercare altre montagne per ritrovarsi in un'altra città e scoprire che l'Himalaya potrebbe non essere così diverso dal Monte Rosa.
«Il modo in cui un luogo custodiva la tua storia. Come riuscivi a rileggerla ogni volta che ci tornavi. Poteva esisterne solo una di montagna così, nella vita, e in confronto a quella tutte le altre non erano che cime minori, perfino se si trattava dell'Himalaya.»
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