Qualche volta mi sono aggirata intorno ai libri di Graham Greene, ma non avevo mai letto nulla. Poi a Natale un'amica mi ha regalato "Il treno per Istanbul", e allora è arrivato il momento di scoprirlo. Sicuramente leggerò altri suoi libri in futuro perché mi è piaciuto lo sguardo distante e ironico con cui guarda i suoi personaggi. Sono personaggi molto distanti e diversi tra loro, quelli che si ritrovano a condividere il viaggio. Ognuno ha una storia diversa e obiettivi diversi li hanno portati a intraprendere il viaggio. "Il treno per Istanbul" è un romanzo corale, uno spaccato dell'umanità del dopoguerra, un'umanità un po' ammaccata, che cerca di rimettersi in piedi, nonostante tutto. Il sottotitolo è "Un divertimento", in realtà però anche le scene più comiche lasciano un sapore amaro, un senso di delusione e di sconfitta, a cui i personaggi si adattano forse meglio del lettore, perché loro, in fondo, l'avevano già messo in conto.
venerdì 21 febbraio 2020
sabato 1 febbraio 2020
I giorni del giudizio - Giampaolo Simi
Quando esce un libro di Simi devo assolutamente leggerlo perché mi piace il suo modo di scrivere e ogni tanto ho bisogno proprio di quella scrittura, di quelle parole. Anche questa volta il libro mi ha travolto con una storia in cui non vedevo l'ora di immergermi, appena avevo un momento libero.
Il romanzo inizia con un duplice, efferato omicidio e un presunto colpevole. Le varie fasi del processo e delle indagini vengono raccontate attraverso i diversi punti di vista dei giudici popolari, sei cittadini qualunque, ognuno con la propria storia e i propri problemi, un gruppo di persone molto lontane tra loro, messe insieme per caso. E più del processo, più della curiosità di scoprire il mistero dei due omicidi, erano proprio i giudici popolari ad interessarmi. Avevo voglia di leggere per stare in mezzo a loro, per sentire le loro voci, per sapere di più sulle loro vite, su quello che li aveva portati a diventare quello che erano.
Alla fine ho imparato qualcosa anche sullo svolgimento di un processo ma non so se siano più le cose che mi rassicurano o quelle che mi inquietano. Perché i giudici popolari sanno di non essere all'altezza, di essere un gruppo di dilettanti. Eppure ognuno di loro cerca di capire, ma si avventura nella mente delle vittime e dell'imputato, ne ripercorre i gesti, partendo e arrivando sempre a se stesso.
Il finale mi ha lasciato un'amarezza che non so se sia più legata alla conclusione della vicenda, o alla malinconia di staccarmi dai personaggi.
Ho iniziato dicendo che mi piace la scrittura di Simi, devo dire che mi piace anche il ritmo che sa dare al racconto, i tempi perfetti con cui presenta gli avvenimenti. Mi ha però infastidito l'insistenza di usare sempre il pronome "gli" come se fosse l'unico, quello con cui si possono sostituire tutti gli altri ("... tante villette che la gente ha tirato su un po' come gli pareva..." "Iris si ricorda di quando gli piombò in biblioteca..."). Un'insistenza che non può essere una svista (e che sarebbe molto grave per una casa editrice come Sellerio), ma che sembra invece una scelta precisa, una di quelle trascuratezze un po' snob, che però snob non riescono a essere.
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