"Adesso so che non fui mai più felice come nell'estate del 1991." in quell'estate veniva finalmente pubblicato American Psycho, il terzo libro di Bret Easton Ellis, quello più sconvolgente e complesso, che l'editore Simon & Schuster, circa un anno prima, aveva rifiutato di pubblicare pur avendone già acquistato i diritti. E io, che nell'estate del 1991 non vivevo un periodo particolarmente felice, adesso so che, qualche anno più tardi, quando lo lessi, lo lessi male e in modo superficiale. Restai infatti legata ai terribili crimini commessi di notte da un protagonista perfetto durante il giorno, e non vidi l'allegoria della società degli anni Ottanta, il lato oscuro che serpeggiava sotto un'apparenza di perfezione. Non feci nemmeno molta attenzione a Donald Trump, che invece nel romanzo viene nominato più volte perché è l'idolo del protagonista (ma anche di quei ragazzi che lavoravano nella finanza e che l'avevano ispirato), il padre che avrebbe voluto e non ha avuto. Lo stesso Trump che, più o meno venticinque anni dopo, sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti. "La rabbia, l'indignazione, il panico e l'orrore dell'Apocalisse Tump era in realtà solo la manifestazione di essere obbligati a guardare la bolla sottostante e chiedersi colpevolmente dove si fosse sbagliato."
Bianco non è un romanzo, a prima vista è una raccolta di articoli, di saggi. Io credo però che sia un genere nuovo, una raccolta di pensieri e di considerazioni, un modo diverso di scrivere un'autobiografia. Si apre infatti con quel periodo che l'autore definisce Impero, il periodo della sua infanzia e adolescenza, quel periodo in cui i genitori non erano così concentrati sulle vite dei loro figli e li lasciavano liberi di andare e tornare da scuola da soli. Probabilmente solo in quel contesto Bret Easton Ellis avrebbe potuto scrivere il suo primo romanzo, "Meno di zero", in cui uno dei protagonisti si chiama Julian, come Richard Gere in American Gigolo. Un romanzo che si porta dietro le influenze cinematografiche e dei libri horror letti in quegli anni, per descrivere i giovani della sua generazione come non li aveva mai descritti nessuno. Il cinema ha un ruolo fondamentale nelle opere di Bret Easton Ellis, è sempre presente, come presente è l'influenza di Joan Didion: "come per tutti i grandi scrittori, il significato del suo lavoro sta nello stile". Non sempre infatti Bret Easton Ellis è d'accordo con quello che la Didion dice, ma apprezza che lo dica e il modo in cui lo dice. Ed è l'incapacità di accettare un pensiero diverso, un'opinione diversa, che rimprovera invece all'epoca del post-Impero, quella che è venuta dopo l'11 settembre. Un'epoca spaventata e impaurita, in cui si proclama l'amore per il diverso ma si ostracizza quello che è unico. Un'epoca in cui si tende verso la vittimizzazione dei gay, delle donne, delle minoranze in generale. Un'epoca in cui si deve dire che il sesso è sesso per paura di etichettarlo come "diverso". Eppure "da uomo che non ha un rapporto neutro con la propria sessualità, quando cerco la pornografia su internet non digito 'sesso', digito 'gaytube', 'gay porno', 'gayxxx', gay qualsiasi cosa".
Si potrebbe parlare per ore di questo libro, ci si potrebbe soffermare a discutere qualsiasi paragrafo. Sono passati molti anni dall'estate del 1991, ma Bret Easton Ellis ha ancora uno sguardo lucido sul mondo e sulle dinamiche della società, e ha ancora molto da dire.