La telefonata con Monica mi ha lasciato la strana impressione che ci fosse ancora qualcosa in sospeso e probabilmente non solo perché avevo il sospetto che il corriere avesse consegnato ad un'altra persona il regalo che le avevo inviato per il compleanno, ma perché per la prima volta avevamo parlato di editing, parola che finora era sempre rimasta estranea alle nostre conversazioni.
Secondo un editor, insomma, Monica avrebbe dovuto cambiare parecchie cose nei suoi libri, per esempio avrebbe dovuto smettere di usare i tre punti di sospensione "perché non vanno più".
Così mi è tornata in mente una discussione che si era tenuta in un forum e nella quale avevo faticato parecchio a non intervenire. Ma da tempo ho rinunciato a fare polemiche nei forum perché ho scoperto che poi non si finisce mai. Eppure questa cosa dell'editing e tutto quello che avevo letto nel forum, mi si stava agitando in testa, insieme alle parole di Monica.
Tanto vale dirlo subito: io sono contraria all'editing. O meglio, sono contraria all'editing se si tratta di riscrivere completamente un testo, o anche solo di tagliarlo e riaggiustarlo significativamente. E poi sono contraria all'editing quando si tratta di fisse, tipo quella dei tre punti di sospensione. Un po' perché io amo i tre punti di sospensione e mi piace usarli, così come mi piace moltissimo trovarli in quello che leggo, e un po' perché non credo si debba scrivere in base a delle mode o a quello che va in un certo momento. Di questo passo, scriveremmo tutti nello stesso modo, utilizzando le stesse espressioni e la stessa punteggiatura, mentre quello che è bello e piacevole in una lettura, è lo stile dell'autore, la sua capacità di usare la lingua in modo diverso da quello di chiunque altro. La punteggiatura e il suo diverso uso, fanno parte di questo stile, anzi, lo caratterizzano e lo costituiscono. Ho sempre pensato che in un romanzo o in un racconto non fosse tanto importante quello che viene scritto ma il come viene scritto. Un buono scrittore è quello che riesce a scrivere qualcosa di bello anche trattando un argomento esile e inconsistente, semplicemente per la sua capacità di mettere insieme le parole in modo armonioso, oppure ruvido e faticoso. Perché non sempre ciò che è scorrevole è bello.
Nel forum, una persona sosteneva che il rifiuto dell'editing (insito nell'autopubblicazione) sia presunzione. Può darsi che abbia ragione: probabilmente, chiunque scrive è conscio di non poter fare di meglio (altrimenti ci avrebbe pensato da solo a cambiare una certa parola o a spostare una certa virgola). Io però sono più propensa a pensare che sia anche onestà: che soddisfazione si può trovare nel veder pubblicato, fosse anche da un grande editore, un proprio romanzo che sia stato completamente modificato da qualcun altro? L'unica soddisfazione può essere quella di un buon compenso, intascato però pur sempre con il senso di colpa per non aver scritto ciò che è stato pagato o, peggio, per aver tradito il testo originario, nel quale indubbiamente chiunque mette una parte di se stesso.
Al di là della presunzione, e al di là del fatto che io scriva bene o scriva male, credo che comunque il mio modo di scrivere sia questo. Se poi non piace, pazienza, si leggerà altro. Quel che è certo è che io non posso diventare un'altra e nemmeno la mia scrittura.
Sempre nel forum, una sostenitrice dell'autopubblicazione che avversava l'editing, diceva di aver smesso persino di leggere libri pubblicati da grandi editori.
Non condivido questa posizione estremista, che chiude la porta alla letteratura in modo insensato.
Leggere è sempre bello e sempre utile, anche se il libro è brutto, anche se l'autore non è quello il cui nome è scritto sulla copertina, o almeno non solo lui. In ogni caso credo sia importante leggere quello che viene pubblicato tanto quanto è importante leggere i classici.
E' normale, quando si porta un libro ad un editore, che questi, prima di investire soldi, voglia riadattarlo e renderlo il più commerciabile possibile, andando sul sicuro e modificandolo in base alle mode. Tutto dipende dall'uso che si vuole fare del proprio scritto. Nel momento in cui si decide di mercificarlo, ci sono determinate regole e compromessi, perché a quel punto il libro non è più solo nostro ma di un team di persone che ci lavorano e si aspettano di ricavarne un risultato.
Se vogliamo restare fedeli a quello che abbiamo scritto e alla parte di noi stessi che ci è finita dentro, per fortuna, nell'era di internet, ci sono Lulu e simili.
Secondo un editor, insomma, Monica avrebbe dovuto cambiare parecchie cose nei suoi libri, per esempio avrebbe dovuto smettere di usare i tre punti di sospensione "perché non vanno più".
Così mi è tornata in mente una discussione che si era tenuta in un forum e nella quale avevo faticato parecchio a non intervenire. Ma da tempo ho rinunciato a fare polemiche nei forum perché ho scoperto che poi non si finisce mai. Eppure questa cosa dell'editing e tutto quello che avevo letto nel forum, mi si stava agitando in testa, insieme alle parole di Monica.
Tanto vale dirlo subito: io sono contraria all'editing. O meglio, sono contraria all'editing se si tratta di riscrivere completamente un testo, o anche solo di tagliarlo e riaggiustarlo significativamente. E poi sono contraria all'editing quando si tratta di fisse, tipo quella dei tre punti di sospensione. Un po' perché io amo i tre punti di sospensione e mi piace usarli, così come mi piace moltissimo trovarli in quello che leggo, e un po' perché non credo si debba scrivere in base a delle mode o a quello che va in un certo momento. Di questo passo, scriveremmo tutti nello stesso modo, utilizzando le stesse espressioni e la stessa punteggiatura, mentre quello che è bello e piacevole in una lettura, è lo stile dell'autore, la sua capacità di usare la lingua in modo diverso da quello di chiunque altro. La punteggiatura e il suo diverso uso, fanno parte di questo stile, anzi, lo caratterizzano e lo costituiscono. Ho sempre pensato che in un romanzo o in un racconto non fosse tanto importante quello che viene scritto ma il come viene scritto. Un buono scrittore è quello che riesce a scrivere qualcosa di bello anche trattando un argomento esile e inconsistente, semplicemente per la sua capacità di mettere insieme le parole in modo armonioso, oppure ruvido e faticoso. Perché non sempre ciò che è scorrevole è bello.
Nel forum, una persona sosteneva che il rifiuto dell'editing (insito nell'autopubblicazione) sia presunzione. Può darsi che abbia ragione: probabilmente, chiunque scrive è conscio di non poter fare di meglio (altrimenti ci avrebbe pensato da solo a cambiare una certa parola o a spostare una certa virgola). Io però sono più propensa a pensare che sia anche onestà: che soddisfazione si può trovare nel veder pubblicato, fosse anche da un grande editore, un proprio romanzo che sia stato completamente modificato da qualcun altro? L'unica soddisfazione può essere quella di un buon compenso, intascato però pur sempre con il senso di colpa per non aver scritto ciò che è stato pagato o, peggio, per aver tradito il testo originario, nel quale indubbiamente chiunque mette una parte di se stesso.
Al di là della presunzione, e al di là del fatto che io scriva bene o scriva male, credo che comunque il mio modo di scrivere sia questo. Se poi non piace, pazienza, si leggerà altro. Quel che è certo è che io non posso diventare un'altra e nemmeno la mia scrittura.
Sempre nel forum, una sostenitrice dell'autopubblicazione che avversava l'editing, diceva di aver smesso persino di leggere libri pubblicati da grandi editori.
Non condivido questa posizione estremista, che chiude la porta alla letteratura in modo insensato.
Leggere è sempre bello e sempre utile, anche se il libro è brutto, anche se l'autore non è quello il cui nome è scritto sulla copertina, o almeno non solo lui. In ogni caso credo sia importante leggere quello che viene pubblicato tanto quanto è importante leggere i classici.
E' normale, quando si porta un libro ad un editore, che questi, prima di investire soldi, voglia riadattarlo e renderlo il più commerciabile possibile, andando sul sicuro e modificandolo in base alle mode. Tutto dipende dall'uso che si vuole fare del proprio scritto. Nel momento in cui si decide di mercificarlo, ci sono determinate regole e compromessi, perché a quel punto il libro non è più solo nostro ma di un team di persone che ci lavorano e si aspettano di ricavarne un risultato.
Se vogliamo restare fedeli a quello che abbiamo scritto e alla parte di noi stessi che ci è finita dentro, per fortuna, nell'era di internet, ci sono Lulu e simili.
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