Per un lungo periodo tra l'infanzia e l'adolescenza ho letto quasi tutti i libri di Natalia Ginzburg. I suoi personaggi, le sue frasi brevi, il ritmo della sua scrittura facevano parte della mia vita e hanno continuato a farlo. Ci sono racconti della raccolta "Le piccole virtù" che ho letto un'infinità di volte. Ma "La famiglia Manzoni" è il libro che non ho mai avuto voglia di leggere.
Il romanzo di Marina Marazza, "Le due mogli di Manzoni", mi ha fatto invece tornare in mente il libro della Ginzburg e, dopo tanti anni, mi è venuta voglia di leggerlo.
È un libro diverso da tutti gli altri, sia per la lunghezza che per il modo in cui è scritto, anche perché di suo l'autrice aggiunge poco, l'ossatura è costituita dalle lettere che i personaggi si scrivevano, e davvero poco è lasciato alle considerazioni e alle interpretazioni personali. Su un arco temporale che va dal 1762, anno di nascita della madre Giulia Beccaria, al 1907, anno di morte del figliastro, si svolgono le vicende di una famiglia i cui lutti superano i rari momenti di felicità. Nonostante i capitoli portino i nomi di altri personaggi, la figura di Manzoni prevale sulle altre. Un uomo antipatico, che sembra prendere le distanze da quanto accade nella sua famiglia, che non ha avuto un padre e che non riesce a essere un buon genitore per i suoi figli. Eppure alla fine non si può fare a meno di sentirlo un po' più vicino, un po' meno distante e un po' più sfortunato.