L'ho finito stanotte. Come con tutti i libri di Marías, anche questa volta mi sono trovata avvolta nella spirale serrata del suo racconto, a seguire i pensieri dei suoi personaggi. Alla mattina non vedevo l'ora di salire sul metrò e leggerlo; durante il giorno, quando prendevo qualcosa dalla borsa e lo toccavo, ero felice perché, dopo qualche ora, sarei stata di nuovo sul metrò a leggerlo.
Una storia tutto sommato abbastanza prevedibile, una rivisitazione in chiave moderna di Penelope e Ulisse. Eppure una storia in cui ogni pagina chiama la successiva, in cui la tensione resta alta fino alla fine. Perché il vero romanzo si srotola attraverso le digressioni e le sensazioni dei protagonisti, la loro interpretazione delle loro vite, di quello che è successo.
Sono tanti i rimandi letterari, dalle poesie di T. S. Eliot, a Balzac, all'Enrico V di Shakespeare, all'impossibilita di Tom di dormire veramente, così simile a quella di Macbeth. Ho amato però soprattutto i balconi di Berta, così vicini alle finestre di Pinter, il suo guardare la città da quelle tre diverse prospettive, restandone comunque al di fuori, come è rimasta sempre un po' al di fuori della vita. Soltanto una volta si è buttata nella mischia, quando era molto giovane e ha partecipato a un corteo. È da quei balconi che anche Tom guarderà la vita con un'inaspettata nostalgia quando si sentirà escluso, dopo essersi sentito escluso, per tanti anni, dalla vita vera, che aveva scelto e che avrebbe voluto vivere.