Da qualche anno non leggevo un libro di Philip Roth e probabilmente è la ragione per cui ho apprezzato così tanto "Quando lei era buona". L'ho letto a tratti febbrilmente, con la voglia di sapere cosa succedeva, per poi tornare indietro, rileggere intere pagine, assaporare ogni parola.
Scritto nel 1967, è uno dei primi romanzi di Roth, l'unico che abbia per protagonista una donna, e forse proprio quello che per primo contribuì alla sua fama di misogino. È stato scritto che Lucy Nelson è un'isterica, oppure una donna con difetti e debolezze di solito attribuite agli uomini. La verità credo sia che Roth scrive non tanto di uomini e donne, quanto di persone e questo è parte della sua grandezza. È facile scorgere in Lucy tratti che anticipano i suoi personaggi futuri, in particolare, mentre leggevo, ho pensato a Coleman Silk di "La macchia umana", alla sua fuga dalle origini e, in qualche modo, da se stesso.
Lucy è una donna piena di rabbia e sarcasmo, inflessibile e davvero antipatica, eppure, nonostante questo, non si può non provare dispiacere e comprensione per lei. Figlia di un alcolizzato e di una donna eternamente bambina, cerca in ogni modo di allontanarsi dalla propria famiglia, di essere diversa dai propri genitori e dai propri nonni. Li considera inferiori quanto sono inferiori le ragazze della sua età, che perdono tempo con abiti e acconciature. Il suo sogno di andare al college però sfuma quando incontra Roy Bassart. Credo che tutti, prima o poi, abbiano conosciuto un ragazzo come Roy, allegro, immaturo, semplice. Un ragazzo che non crescerà mai e che sarà sempre succube dello zio. Ma io ho provato una grandissima pena per lui, per i suoi pianti, per i momenti in cui Lucy gli ha buttato in faccia brutalmente il proprio disprezzo. Perché proprio quando le cose stanno andando bene, quando Roy sembra essere diventato l'uomo che lei voleva, l'ombra del passato di Lucy si riaffaccia, e sarà lei stessa a distruggere la sua nuova famiglia.
Scritto nel 1967, è uno dei primi romanzi di Roth, l'unico che abbia per protagonista una donna, e forse proprio quello che per primo contribuì alla sua fama di misogino. È stato scritto che Lucy Nelson è un'isterica, oppure una donna con difetti e debolezze di solito attribuite agli uomini. La verità credo sia che Roth scrive non tanto di uomini e donne, quanto di persone e questo è parte della sua grandezza. È facile scorgere in Lucy tratti che anticipano i suoi personaggi futuri, in particolare, mentre leggevo, ho pensato a Coleman Silk di "La macchia umana", alla sua fuga dalle origini e, in qualche modo, da se stesso.
Lucy è una donna piena di rabbia e sarcasmo, inflessibile e davvero antipatica, eppure, nonostante questo, non si può non provare dispiacere e comprensione per lei. Figlia di un alcolizzato e di una donna eternamente bambina, cerca in ogni modo di allontanarsi dalla propria famiglia, di essere diversa dai propri genitori e dai propri nonni. Li considera inferiori quanto sono inferiori le ragazze della sua età, che perdono tempo con abiti e acconciature. Il suo sogno di andare al college però sfuma quando incontra Roy Bassart. Credo che tutti, prima o poi, abbiano conosciuto un ragazzo come Roy, allegro, immaturo, semplice. Un ragazzo che non crescerà mai e che sarà sempre succube dello zio. Ma io ho provato una grandissima pena per lui, per i suoi pianti, per i momenti in cui Lucy gli ha buttato in faccia brutalmente il proprio disprezzo. Perché proprio quando le cose stanno andando bene, quando Roy sembra essere diventato l'uomo che lei voleva, l'ombra del passato di Lucy si riaffaccia, e sarà lei stessa a distruggere la sua nuova famiglia.