Mi capita un'infinità di volte di sentire gente che dice "Non ho tempo di leggere" o, peggio, "Beata te che hai tempo di leggere!" Sì certo, beata me che in settimana dormo cinque ore per notte (ma nel weekend mi rifaccio con dei recuperi clamorosi). Io leggo appena posso e leggo di tutto, dal fumetto (resterò per sempre una fan di Diabolik) al classico, al polpettone. A volte mi diverto, altre mi annoio a morte, ma difficilmente abbandono la mia lettura, sono sempre curiosa di arrivare fino in fondo, magari anche solo per concludere che quel libro è una gran noia. Leggo ovunque, ma soprattutto sulla metropolitana e mai una volta che mi capiti di finire il capitolo nel momento in cui devo scendere, così mi tocca continuare a leggerlo mentre salgo le scale e riaffioro in superficie, oppure ancora oltre, mentre dalla stazione della metropolitana mi dirigo verso casa. Comunque ormai sono diventata piuttosto brava e riesco ad evitare quasi tutti gli ostacoli che mi si pongono davanti. L'anno scorso ho anche intercettato il marocchino che, credendomi un'idiota, ha infilato la mano nella mia borsa alla ricerca del portafoglio.
La mia passione per la lettura è nata indubbiamente da mia madre, non so se mi abbiano influenzato più i geni che ho ereditato da lei o il fatto di essere cresciuta in una casa dove si trovavano libri dappertutto e dove ci era permesso leggere di tutto. Mia madre non sapeva (e non sa) cosa volesse dire "censura". Per lei potevamo leggere qualsiasi cosa e sbuffava annoiata quando altri si scandalizzavano per quello che leggevamo. Per lei non esistevano libri per bambini e libri per adulti, per lei esistevano libri che, se erano belli, pensava ci avrebbe fatto piacere leggere, era comunque convinta che ci avrebbero insegnato qualcosa. Per esempio nel 1981, in pieno referendum sull'aborto, quando tornai a casa traumatizzata dal racconto di una maestra di religione, mia madre mi diede da leggere Lettera a un bambino mai nato.
Restai affascinata da quel libro, non tanto per i contenuti, quanto per la musicalità con cui venivano espressi, per il modo in cui una parola stava perfettamente dietro all'altra, entrando nel profondo del tema e anche della mia testa. Da quando avevo undici anni, non l'ho mai più riletto, eppure per molti anni (qualche volta persino oggi) ho ripetuto dentro di me le ultime parole, quella bellissima fine triste ma piena di speranza.
A undici anni, quando approdai alla Fallaci, avevo però letto già molto. Tralasciando Piccole donne e i loro vari seguiti, che probabilmente tutte le bambine della mia generazione hanno letto, scegliendo poi di fare tutt'altro nella vita, il primo libro "da adulta" che lessi fu Grazie lo stesso. Lo avevo sfogliato già molte volte e avevo letto la trama perché mi attirava il disegno buffo sulla copertina, con una ragazza in un quadro strattonato da due ragazzi. Quello che però mi attirava maggiormente era il sottotitolo, "Una Giovanna in due". Quel sottotitolo mi divertiva e mi faceva venir voglia di capire la storia che poteva esserci dietro.
"Se vuoi leggere Una Giovanna in due, leggilo," disse mia madre con naturalezza.
Fu così che conobbi Brunella Gasperini e la mia idea di romanzo e letteratura cambiò per sempre.
Per quanto riguarda Brunella, avevo visto la sua foto qualche anno prima sulla copertina di una rivista a casa di mia nonna. "Addio Brunella", c'era scritto accanto alla donna con gli occhiali, il sorriso simpatico e la cornetta del telefono attaccata all'orecchia. Mia nonna guardava quella foto con sguardo triste, come se fosse stata una sua amica. Da quando lessi Una Giovanna in due, Brunella divenne anche amica mia e tuttora ritrovo, nelle cose che scrivo o che ho scritto, qualcosa di lei.
Grazie lo stesso era un libro triste, malinconico e al tempo stesso buffo e divertente, come quella copertina. Forse la forza di quel libro stava nel raccontare una storia semplice, scritta con leggerezza, pur nella sua tragicità. La storia era quella dell'amicizia fortissima tra due ragazzi molto diversi, uno con alle spalle una famiglia modesta e unita, l'altro ricchissimo, con una famiglia spezzata. L'amicizia si rompe quando arriva Giovanna, che all'inizio si fidanza con il ragazzo di buona famiglia e poi si innamora del ragazzo sbandato, con la famiglia distrutta. La storia finiva con quello che avrebbe dovuto essere un lieto fine, ma in realtà restava la tragedia della morte di uno dei due amici e del rimorso dell'altro.
Qualche anno dopo, nella prefazione alle Note blu scritta da Nicoletta, la figlia di Brunella, scoprii che quello del lieto fine era uno dei cliché della letteratura femminile degli anni Sessanta e Settanta del quale Brunella avrebbe voluto liberarsi, senza tuttavia riuscirci. Io credo che in qualche modo ci sia riuscita perché, dietro il suo sorriso ironico, restava sempre l'amarezza per quella fine triste che proprio non si poteva evitare.
Proprio nelle Note blu, il lieto fine non sminuiva la tragedia, nonostante l'idea che in fondo la vita continua sempre, suggerita da Mariolina-la-ragazza-raggio-di-sole che saltellava sul marciapiede, felice di andare incontro alla felicità che inseguiva da tempo.
Le Note blu era uno dei miei libri preferiti, anche perché si ritrovavano i personaggi del primo libro, Fanali gialli. Fanali gialli riprendeva il tema di Grazie lo stesso, era la storia di due amici, Massimo e Mario, uno ricco e sbandato, l'altro povero e responsabile, con la madre e una sorella (Mariolina appunto) da mantenere. E poi c'era Francesca, la sorella maggiore di Renzo, innamorata di Massimo, che però avrebbe voluto innamorarsi di Mario. Ma il personaggio più affascinante era Tilla Gennari, la ragazza bellissima e complessata, che abitava vicino a Mario e che era sempre stata innamorata di lui ma non credeva nella possibilità di realizzare il suo amore perché lei veniva da una famiglia di "degenerati". In Fanali gialli il lieto fine era obbligatorio ed era esattamente quello che si voleva leggere, così come nelle Note blu era inevitabile la tragedia, che si percepiva già dalle prime pagine, dall'incontro di Tannie e Renzo.
Il libro di Brunella Gasperini che divenne il mio preferito e che ho riletto un'infinità di volte, resta però A scuola si muore. Il libro era breve, c'erano momenti in cui si rideva molto e momenti in cui la tristezza e la malinconia prendevano il sopravvento. Si svolgeva tutto nell'arco di una giornata, quella in cui il protagonista, arrivato a scuola in anticipo, entrava nella palestra e scopriva il cadavere di Sandra, la sua prima ragazza, di cui in fondo era ancora innamorato. Nell'arco della giornata il protagonista viaggiava da un flash back all'altro, rincorrendo i ricordi della sua storia con Sandra, fino alla fine, quando lei aveva iniziato a drogarsi. E poi c'erano gli amici, di cui aveva smesso da tempo di fidarsi, e la scoperta della storia tra la madre, vedova, e il professore di italiano, che era stato per lui un padre. Il libro era bellissimo e i personaggi erano vivi, con tutti i loro difetti ma anche i loro lati positivi, compreso il protagonista, che scopriva di esser stato inutilmente sospettoso nei confronti degli amici e stupidamente cieco nei confronti della madre e della sua storia con il professore. E poi c'era quella fine drammatica, in cui si scopriva che, come diceva il sottotitolo "Gli assassini sono due: la droga e un altro".
Avevo già letto e amato il libro da qualche anno quando a scuola (facevo le medie) la professoressa di italiano si ritrovò a parlare di Brunella Gasperini e disse: "Di lei potete leggere tutto, tranne A scuola si muore". Poi intercettò il mio sguardo perplesso. "Ce l'hai in casa?" mi chiese. Risposi che l'avevo anche letto e che mi era piaciuto moltissimo.
"Dovevi proprio dirle che l'avevi letto?" mi chiese mia madre irritata, quando rientrò in casa dopo essere stata a parlare con la professoressa. Eh sì, dovevo proprio dirglielo.
Ho riletto più volte quel libro e anche l'ultimo, Una donna e altri animali, quello autobiografico, col quale Brunella voleva "uscire del ghetto della letteratura femminile per entrare in quella (diciamo così) unisex".
Ho ripensato a lei qualche settimana fa, quando sono approdata al forum di Lulu "Storie d'amore" e mi è venuta in mente la sua raccolta di racconti, Storie d'amore storie d'allegria. Ho cercato il suo nome su internet e ho scoperto che alcuni dei suoi libri sono ancora in vendita, mentre altri sono introvabili. Ho letto anche i commenti di molte persone che l'avevano scoperta dopo la sua morte, come me. Sicuramente i suoi romanzi sono un po' datati, legati agli anni Settanta e alle loro battaglie, credo che però il suo modo di raccontare e di descrivere i sentimenti sia sempre attuale.
Proprio in questi giorni ho sentito Severgnini che, alla radio, diceva che un classico è quello che fa provare emozioni a diverse generazioni. Credo che allora i libri di Brunella Gasperini lo siano.