sabato 30 maggio 2015

Martin Walser

"Già avere un ruolo, o desiderare un ruolo nella storia dell'umanità, è l'inizio di un grande crimine..." scrive Martin Walser nel suo racconto "Autoritratto come romanzo criminale". Racconto psicologico e privo di azione, con un protagonista che ha commesso un "crimine innocuo". E l'autore stesso arriva poi a chiedersi se un crimine possa mai essere innocuo. Si tratta di un racconto interamente retto dalla prosa e dalle considerazioni di Walser, racconto breve, di cinque pag...ine soltanto, che pure riesce a far amare questo autore, le cui opere sono quasi introvabili in Italia, addirittura poco tradotte, nonostante si tratti di uno dei più grandi scrittori tedeschi del dopoguerra. Forse il più grande della sua generazione, salutato qualche volta come il nuovo Thomas Mann.
Eppure anch'io, nel leggere il suo racconto, ho delle riserve, come se il mio inconscio premesse per frenare l'entusiasmo. Perché l'ombra che grava su di lui è pesante. Ma quanto influisce sull'opera di uno scrittore, o più in generale sull'opera di un artista, il suo vissuto?
Io per prima ho detto tante volte che non conta nulla, che la storia della letteratura è piena di uomini meschini e torbidi, che pure hanno scritto opere grandiose. Eppure molte carriere artistiche sono state stroncate dai comportamenti e dalle convinzioni degli artisti stessi. Forse è sempre più difficile scindere l'artista dall'uomo quando si tratta di un contemporaneo. Se ad un artista del passato si può persino arrivare a perdonare un assassinio, a volte è difficile perdonare ad un contemporaneo anche una banale ed innocua antipatia.